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Identità e patrimonio nell'agricoltura locale


varietà tradizionali e locali ; esistono ancora? ; l'agricoltura locale ; biodiversità ; identità e patrimonio ; il mandillo da groppo

pannocchie di mais di varietà tradizionali della Liguria e del Piemonte / MA

Varietà tradizionali e locali

Le varietà, le popolazioni e i cloni di piante agricole si possono definire tradizionali quando, nel tempo delle generazioni, sono coltivate in un luogo con continuità e in quel luogo sono note con almeno un nome proprio. Sono tramandate per consuetudine familiare o comunitaria e si caratterizzano per il passaggio da una generazione all'altra, da madre a figlia, di mano in mano: ed è proprio l'atto della consegna che dà senso alla parola "tradizione" (da trans + dare). Non fa differenza l'ampiezza del luogo di coltivazione (esteso quanto una parrocchia, una valle o una regione), né la durata della continuità (due o più generazioni), e neppure la qualità del nome con il quale sono note (di origine dotta o dialettale, coniato o alterato dalla fantasia), perché il nome della notorietà -- il nome riconosciuto e usato dalla gente -- è sempre quello vero: la sua presenza nel lessico comunitario è di per sé prova del legame locale ed è indizio di una relazione intessuta di memoria e identità.

varietà locali di mele esposte alla manifestazione Mandillo da groppo In quanto "tramandate e note", possono essere tradizionali anche le vecchie varietà commerciali, tendenzialmente stabili per forma e comportamento, spesso di origine nota e diffuse su scala extralocale: si pensi, per esempio, al frumento Inalettabile di Vilmorin (circa 1885, in alcune località della Liguria noto come gamba de fero), al pomodoro re Umberto (circa 1890, anche pendin), alla patata tonda di Berlino (1922, anche giana o deberlinn-a); a maggior ragione, sono tradizionali le varietà locali, quelle di origine spesso ignota che, riprodotte e tramandate nella continuità del tempo e in un luogo, hanno acquisito una forma, un comportamento e, a volte, anche un gusto particolari di quella terra e forse di nessun'altra.

Quando sono coltivate e riprodotte continuativamente in un luogo, anche le varietà commerciali dopo molti anni possono assumere caratteristiche di forma e comportamento differenti da quelle originarie ed essere considerate, a buon diritto, locali.


Esistono ancora le varietà tradizionali?

Agli inizi del 1998, durante un incontro sulla diversità in agricoltura a Ponte di Gaggia in val Graveglia, avevo chiesto a 13 contadini di diverse età i nomi delle varietà di frutta, ortaggi e cereali tradizionali che ricordavano o ancora conservavano.

La prima risposta, corale, aveva questi toni: "Nu ghe n'ê ciü!", "Figüèmuse se ghe n'ê!", "Na votta, ghe n'ea, ma oua ..."; insomma, di "vecchie" varietà non ce n'era più. Poi dopo un quarto d'ora di silenzio e di teste che negavano, una donna ha detto, un po' di passaggio, che forse nella sua frazione era rimasta una mela limunin-a. Le chiesi il luogo preciso e in corrispondenza di quel luogo attaccai una bandierina a spillo su una grande carta della valle. Appena parlò della limonina, subito qualcuno aggiunse che, vabbè, quella l'aveva anche lui.

Poco a poco il rivolo dei ricordi divenne un torrente, e tutti facevano a gara a disseppellire dalla memoria le vecchie varietà dei loro posti. Dopo meno di due ore avevo attaccato 128 bandierine: 10 varietà di castagne, 8 di ciliegie, 6 di fichi, 1 di frumento, 13 di legumi, 12 di mele, 1 di noce, 9 di olive, 9 di patate, 8 di pere, 11 di pesche, 7 di prugne, 21 di uva bianca, 12 di uva nera.

varietà di verdura alla manifestazione Mandillo da groppo Il giorno dopo ho ordinato le informazioni raccolte quella sera e le ho confrontate con due elenchi di varietà di quella stessa valle ricavati da un manoscritto del 1802 di un proprietario terriero, Carlo Garibaldi, e dal volume "Cultura contadina in Liguria: la val Graveglia" di Hugo Plomteux (1975), e ho preparato una tabella comparativa che, nel successivo incontro, ho restituito ai 13 contadini. Sul manoscritto erano riportati 64 nomi di varietà di frutta, sul libro 62: quella sera ne erano stati citati ben 105. Il 50% delle varietà conosciute nel 1802 era ancora coltivato quasi due secoli più tardi con lo stesso nome o di poco differente.

Sui monti e nelle terre economicamente marginali, quelle risparmiate dall'agricoltura industriale, le varietà tradizionali esistono ancora; solo sono uscite dall'orizzonte percettivo e dalla memoria delle persone ed è come se non esistessero più, ed è questo il primo passo perché sia proprio così.


L'agricoltura locale

L'agricoltura locale si distingue da quella industrializzata, perché:

  • è fondata sull'azienda familiare, dove il lavoro è prevalentemente svolto dal titolare, dai suoi familiari e conviventi;
  • si sviluppa su estensioni limitate, con colture diversificate, legate alle stagioni, che contribuiscono a disegnare un paesaggio agrario articolato, caratterizzato dalla ricchezza di colture e di varietà, dove convivono frutteti e vigneti, cereali e ortaggi, boschi e pascoli;
  • privilegia le risorse locali e, tra queste, le varietà e le razze tradizionali, riprodotte in autonomia o scambiate in ambito locale.

    Le sue tecniche di produzione:

  • promuovono l'autonomia delle comunità, ne riducono la dipendenza, sono gestibili e riproducibili su scala locale;
  • esprimono un patrimonio locale di storia, consuetudini, conoscenze, gesti e forme di produzione; conservano e tramandano l'identità delle comunità che le hanno elaborate e innovate nel corso del tempo;
  • danno valore al tempo e al lavoro umano, all'uso non erosivo e non inquinante delle risorse locali, all'impiego di fonti di energia rinnovabili.

    I suoi prodotti:

  • sono stagionali e artigianali, caratterizzati da elevata diversità e variabilità, hanno un nome e un sapore localmente noti e condivisi;
  • sono eredità e rappresentano un patrimonio collettivo per le comunità che ne preservano la memoria e ne tramandano la preparazione; segnano il punto d'incontro di un luogo e di una cultura nel tempo;
  • sono adatti alla vendita diretta, alla filiera breve e al mercato di prossimità.


    Biodiversità

    Per conservare la diversità delle piante agricole e il patrimonio di varietà e razze tradizionali, bisogna che nelle aree rurali e montane soggette a spopolamento funzionino le scuole manifestazione Mandillo da Groppo : Manesseno : 2004 / MCB per i figli di chi ci vive. E i servizi sanitari. Bisogna che le botteghe nei paesi possano restare aperte senza essere schiacciate dal peso delle norme fiscali e da norme igieniche astratte. Bisogna che gli agricoltori e gli allevatori possano lavorare in pace, senza l'aggravio di oneri, registri, carte, controlli che generano burocrazia e giustificano l'impiego di funzionari e consulenti, più di quanto serva al bene comune. Bisogna che i diritti comuni sulla terra e le sue risorse siano preservati e che, quindi, sia interrotto il processo di liquidazione degli usi civici.

    Questi aspetti -- e altri ancora -- segnano un confine: da una parte c'è la vivibilità delle aree rurali, dall'altra la loro invivibilità; da una parte c'è la possibilità di continuare a vivere sulla terra, dall'altra il suo abbandono. In Italia quel confine è già stato superato, forse non definitivamente e, forse, si può ancora fare un passo indietro; ma, per farlo, non occorrono nuove norme, al contrario: bisognerebbe cancellare quelle che scoraggiano il lavoro e la vita sulla terra, o, almeno, bisognerebbe escludere le aree rurali e montane dal campo di applicazione delle leggi che impongono norme fiscali e igieniche scoraggianti, se non opprimenti.

    È così che si può conservare la diversità delle piante agricole: rispettando il contesto comunitario e locale nel quale la diversità è stata generata (e si rigenera), e rispettando i contadini che hanno selezionato le varietà e le razze tradizionali, le hanno fatte circolare, le coltivano e continuano a tramandarle. Sono loro che hanno conservato e ancora conservano il proprio patrimonio di varietà e razze; nessuna legge può imporlo e le banche dei semi non possono farlo al loro posto: possono, tutt'al più, mantenere in vita materiale genetico decontestualizzato.

    Ma le leggi regionali finora varate sulla tutela delle "risorse genetiche" tutto ciò lo ignorano. Così: da una parte si chiudono le scuole e le botteghe nei paesi, si impongono oneri e regole che scoraggiano l'agricoltura familiare e l'artigianato locale, si rompe il tessuto comunitario e rurale che genera e conserva la diversità delle varietà e delle razze tradizionali; dall'altra parte che si fa? si istituiscono banche dei semi, registri, commissioni tecnico-scientifiche, si riconoscono compensi agli agricoltori, si conferiscono incarichi, si moltiplicano le norme, i moduli, i funzionari, gli esperti.

    Non si può conservare il patrimonio varietale se si perde il tessuto rurale che lo ha generato e conservato e fatto evolvere: non ha senso piantare semi se si estirpano i contadini.

    in cucina (presepe di Pentema) / MS


    Identità e patrimonio

    Le varietà locali e tradizionali non sono solo il risultato di una risposta adattativa alla pressione ambientale, ma anche un prodotto culturale, derivante dall'attività di selezione curata nel tempo lento dagli agricoltori per privilegiare alcune caratteristiche (forma, resistenza, qualità alimentare, produttività) rispetto ad altre, e dall'azione di addomesticamento perseguita attraverso pratiche colturali spesso socializzate e condivise in ambito locale.

    Sono deposito di consuetudini e conoscenze, in un certo senso sono un manufatto e, sapendoci leggere l'alfabeto del tempo, un documento.

    Vivono in stretta relazione con le conoscenze agronomiche, le ricette di cucina e con la modellazione dello spazio rurale; nel tempo hanno accompagnato le doti matrimoniali, la diffusione della lingua-madre, la mobilità e la nostalgia degli emigranti, fino a diventare, per le comunità dei luoghi entro i quali si sono caratterizzate, uno specchio identitario nel quale potersi riflettere e riconoscere.

    Formano un patrimonio collettivo di conoscenze, gesti e consuetudini, del quale sono titolari le comunità locali, che non può essere liquidato, né espropriato da alcuna espressione dei poteri pubblici, né privatizzato e tanto meno brevettato.

    Hanno contribuito a mantenere salde le catene degli affetti, e di queste mi tornano alla mente alcuni esempi. Sincero di Orézzoli, un borgo a 1000 metri sulla montagna di Ottone fra val Trebbia e val d'Aveto, delle ortive di un tempo conservava la patata quarantina, la rapa giana e una varietà di prezzemolo. Eravamo nel 1996, e dopo avere ascoltato i suoi racconti di vita gli chiesi perché continuava a seminare quel prezzemolo: mi aspettavo che parlasse della sue bontà, delle sue caratteristiche di produttività o resistenza, o semplicemente che dicesse che avevano sempre fatto così. Invece raccontò che lo seminava da quasi sessant'anni: lo aveva portato la moglie, quando si erano sposati, fra le cose della sua dote; così ogni anno lo riseminava perché era un po' "come rifare il matrimonio". Ricordo anche operai calabresi -- ex contadini -- emigrati a Genova, in val Polcevera, che ostentavano i loro broccoli in mezzo all'orto, forse anche per dichiarare l'appartenenza a un luogo di origine e tentare di ricucire un frammento di vita ; è poi piuttosto comune trovare chi conserva alberi da frutto non per ciò che producono, ma come eredità dei propri vecchi. Il valore delle varietà locali e tradizionali è incomprensibile se non si tiene conto del contesto di luogo, tempo e comunità che le ha rese e le rende ciò che sono, così come il significato di una parola diventa incomprensibile quando è estratto dalla frase che la contiene.

    In altri termini, si preserva e si dà valore al patrimonio varietale se si preserva e si dà valore al contesto rurale nel quale si è formato ed è evoluto. Fuori da questo contesto, dalla priorità del ruolo e dell'interesse degli agricoltori, dai processi di conservazione dinamica del quale essi sono protagonisti, restano solo oggetti amatoriali, da collezionisti, soprammobili da orto o cimelio da mu-seo, esercizio di buoni sentimenti o puro supporto di in-formazioni genetiche: e considerare così le varietà locali è riduttivo e, in un certo senso, ingannevole.

    manifestazione Mandillo da groppo


    Il mandillo da groppo

    Così -- insegnano alcuni studiosi -- si scrive nel genovese letterario, ma si dice mandillu da gruppu e indica uno degli utensili più usati nel passato dai contadini che altrove lo chiamano "fazzoletto" o "fagotto" o in altri modi. In lingua genovese mandillo significa fazzoletto e groppo significa nodo. Racconta Sergio Rossi, che nel 2000 ha avuto l'intuizione di recuperare l'immagine del mandillo: «Si trattava di un grande fazzoletto di cotone (cm 80x80 circa) solitamente di colore blu a quadri bianchi, con una cornice rossa posta un poco all'interno rispetto ai bordi.

    Ogni contadino ne possedeva almeno uno e spesso lo portava con sé. Il mandillo era utilizzato per contenere la spesa, per portare il cibo nei campi, per andare a funghi, per contenere frutta, tegami di torte, focacce, pani da portare al forno per la cottura. I bordi del fazzoletto venivano annodati incrociandoli per poterlo agevolmente portare in mano o, con un bastone, sulla spalla.»

    Oh si gh'eran tri bêi giuvin
    oh ch'i ndavon taià l'prâ,
    oh si gh'eran tre fiette
    oh ch'i ndavon rastellà.

    Intra lur i discurêivon
    chi vegnerà a purtà l'diznà:
    e vegnarà la Margherita
    che la sâ pü ben parlà...

    Si l'ê rivà la Margherita,
    si l'ê rivà cul diznà
    e l'â stendü` u mantì sü l'êrba,
    oh tri bêi giuvanié deznà.

    Oh chî se mangia, chî se beiva,
    chî s'imprega mai nesün,
    oh chî se mangia e chî se beiva,
    chi s'impara a far l'amur...

    canzone insegnata a Stefano Valla da sua nonna
    publicata nel disco E prima di partire : Buda : 2001~

    Da qualche anno, "Mandillo da groppo" è anche il nome di una festa dell'agrobiodiversità e dell'agricoltura locale, organizzata in provincia di Genova per fare incontrare e conoscere agricoltori locali, vivaisti ed esperti -- provenienti dalla Liguria, dalle altre regioni italiane e dalle sponde del Mediterraneo -- impegnati nel recupero economico, culturale e ambientale del patrimonio di varietà di piante alimentari e razze animali tradizionali. Le prime tre edizioni si sono svolte a Montoggio (17 dicembre 2000) e in val Graveglia (16 dicembre 2001 e 23 ottobre 2003); alla quarta (Sant'Olcese, Villa Serra di Manesseno, 18-19 settembre 2004) hanno partecipato oltre 100 espositori e sono stati contati 5091 visitatori, dei quali 4728 provenienti dalla Liguria. Per approfondire si può visitare il sito www.mandillodagroppo.it curato da Maria Chiara Basadonne.

    Massimo Angelini

    estratti da Parole per leggere luoghi / M Angelini, MC Basadonne, S Rossi -- Centro culturale
    "Peppo Dachà" : Montoggio : 2004 a loro volta adattati da precedenti interventi


    Identità e patrimonio nell'agricoltura locale (Dove comincia l'Appennino) / redazione ; © autori -- <https://www.appennino4p.it/agricoltura.htm> : 2005.02-