Dove comincia l'Appennino

Le Voci libere di Cosola


il canto di tradizione orale a Cosola ; il progetto "Vieni oi bella" ; i brani

Il canto di tradizione orale a Cosola

Il rimpianto per un mondo caratterizzato da durezze e povertà, ma anche da momenti di convivialità e socializzazione oggigiorno quasi inconcepibili, si traduce sempre più spesso nella volontà di valorizzarne gli aspetti positivi. Gli abitanti di Còsola in alta val Borbera, non diversamente dai loro vicini delle valli confinanti, benché costretti dal corso degli eventi a vivere e lavorare altrove, hanno conservato un forte legame affettivo per il loro paese, come pure per quel ricchissimo patrimonio di canti che un tempo risuonavano in ogni momento della giornata: si cantava nell'aperto dei pascoli, accudendo le bestie o sfalciando i campi, trebbiando il grano o scartocciando il granturco, nel calore delle stalle, tra il fumo dell'osteria come tra l'incenso della chiesa. E si cantava nei momenti rituali del matrimonio e del carnevale, quando risuonavano anche le note del piffero. Un tempo il piffero era anche utilizzato per accompagnare la melodia degli stranôt, canti rituali o narrativi, diffusi in tutte le valli delle Quattro Province. A Cosola era attivo lo stimato pifferaio Damiano Figiacone che si distingueva anche come cantore. Il canto religioso rappresenta un importante capitolo nella tradizione canora locale, passata e presente: quasi tutti i canterini del paese sono anche esecutori di canti liturgici. Questo filone è stato successivamente documentato dalle Voci nel CD-book "Noi cantiamo con il verso bello".

A Cosola, come altrove nelle valli delle Quattro Province, convivevano il canto a terze (basato cioè su intervalli di terza), diffuso in varie modalità in tutta l'Italia settentrionale, e il trallalero ligure, canto genovese dalla caratteristica impostazione contrappuntistica. Si ritiene che questo stile di canto sia stato portato dai primi villeggianti genovesi, anche se determinante potrebbe essere stata la presenza di squadre di trallalero nella vicina valle Scrivia, e il passaggio dei mulattieri che portavano merci dal genovesato verso l'entroterra e viceversa. Gli stessi cantori eseguivano entrambi i repertori, anche se il trallalero era considerato un canto più esclusivo e "professionale", mentre più libero, conviviale e alla portata di tutti era considerato il canto locale.

Nella squadra di trallalero, come di consueto, si avvicendavano vari canterini, anche se si possono indicare alcuni membri pressoché stabili del gruppo: Ivo Burrone, Sergio Negro, Biagio Novelli "Biazen", il figlio Luigi Novelli, Cornelio Callegari, Giovanni Negro "Péveri", Davide Novelli "Dolu". In particolare, il baritono (cuntrubassu) Sergio Negro è stato attivo per alcuni anni anche nella squadra di Grondona ed ha preso parte alle registrazioni effettuate nel 1982 da Mauro Balma per il suo studio dedicato alla polivocalità della montagna pavese [Mauro Balma, La polivocalità della montagna pavese, in Pavia e il suo territorio, Silvana, Milano 1990].

Sull'onda della ricerca e dell'interesse folkrevivalistico degli anni Sessanta, i canterini cosolani hanno preso parte nel 1968 alle celebrazioni per l'ottavo centenario della fondazione della città di Alessandria. La prematura scomparsa di gran parte dei componenti del gruppo e la parziale disgregazione del tessuto comunitario hanno purtroppo posto termine all'esperienza di una squadra prestigiosa. Il trallalero cosolano resta documentato da sei tracce registrate nel 1958 da Pietro Negro "Pidron", un cosolano immigrato in Argentina, mentre esempi del canto tradizionale locale sono contenuti in un nastro registrato dal parroco del paese don Romolo Boccardo, alla vigilia della partecipazione dei canterini alla manifestazione di Alessandria, presso l'Albergo del Ponte: la prima voce è quella di Battista Negro, zio di Giovanna e Romana.

Accanto alla pratica del canto polivocale esisteva a Cosola un vastissimo repertorio lirico-narrativo, spesso su melodie arcaiche, talvolta in forma di stranôt. Si tratta di un repertorio facilmente riconducibile, pur nelle varianti locali, alla classificazione operata dal Nigra (1828-1907), il diplomatico canavesano che realizzò la prima raccolta sistematica di canti popolari piemontesi [Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte, Torino 1974]. Di questi canti erano spesso depositarie le donne, e a Cosola è rimasta una preziosa documentazione del repertorio di Mafalda e Maria Negro, raccolto intorno alla fine degli anni Settanta dai ricercatori del Centro di Cultura popolare "G. Ferraro" di Alessandria. Le due sorelle, dotate di una memoria prodigiosa, sono tuttora fonte di trasmissione orale per alcuni dei canterini protagonisti di questa raccolta.

L'esperienza della monda è unanimemente riconosciuta come una delle principali fonti di arricchimento del patrimonio canoro della comunità, e il repertorio lirico-narrativo è per lo più caratterizzato dall'utilizzo di un dialetto che potremmo definire "letterario", ma sicuramente più vicino ai dialetti parlati in Lomellina e nel Vercellese. Nel repertorio locale entrarono anche i canti della Grande guerra, ma non sembra ne sia rimasta traccia considerevole, come pure legati alla contingenza storica sono rimasti i canti della Resistenza.

Impossibile ricordare in questo spazio limitato tutti i cosolani che si distinsero nella quotidiana pratica del canto tradizionale. Ci limitiamo ad un cenno a quei suonatori che furono protagonisti delle innumerevoli occasioni festive e rituali che animavano la vita del borgo appenninico, come il bravissimo fisarmonicista Mario Negro, i fisarmonicisti Luciano Burrone e il figlio Silvano. Anche il clarinettista Giovanni Burrone, detto "Giuanen dei clarinåttu", è ricordato con stima e affetto, sia a Cosola che nei paesi delle vicine valli.


Il progetto "Vieni oi bella"

Questo disco nasce nel 2004 per iniziativa dell'associazione Musa e di alcuni cosolani discendenti di famiglie di stimati canterini. Non si tratta di cantanti professionisti, ma di portatori di tradizione che hanno appreso questi canti per via orale. Zulema Negro e il fratello Ippolito indicano nel padre, Domenico Negro "Menghen dal Piu", suonatore dilettante di clarinetto e piffero, il loro riferimento principale nell'apprendimento dei canti. Le sorelle Romana e Giovanna Negro sono a loro volta cresciute nelle atmosfere canore dell'albergo del Ponte di Montaldo di Cosola. Il proprietario dell'albergo, Battista Negro "Baciccia", era un appassionato canterino, al pari del fratello, Domenico Negro, papà di Romana e Giovanna. Renzo Negruzzo, marito di Romana, può vantare un ascendente altrettanto prestigioso. La madre e la zia, Maria e Mafalda Negro (nipoti del pifferaio Damiano Figiacone) sono depositarie di un vastissimo repertorio di canto lirico-narrativo. Di questo repertorio la raccolta presenta un frammento di "Margherita de la Piev del Cairo" [Nigra, 37], un brano che ben evidenzia le differenze tra il canto "antico" e quello della tradizione attuale. Dallo stesso repertorio, Romana e Renzo eseguono la struggente ballata "Re Gilardin" [Nigra, 21], appresa direttamente dalla voce di Maria Negro.

Il canto cosolano di tradizione orale, va detto, non si esaurisce in questa raccolta, che include solo alcune delle voci più significative del borgo valborberino e si configura come primo momento di una più ampia documentazione del patrimonio di cultura tradizionale locale. Sebbene caratterizzati da peculiarità locali, i canti rispecchiano le modalità esecutive comuni all'area delle Quattro Province.

È opinione comune dei canterini coinvolti nel progetto, suffragata da documenti sonori d'epoca, che i canti da loro eseguiti risentano della mancanza dei "bassi" che caratterizzano il canto polivocale di queste valli e che nel disco sono affidati alla sola voce di Ippolito Negro e, in alcuni brani, a quelle "prese in prestito", dei pifferai e canterini Stefano Valla (Cegni) e Marco Domenichetti (Negruzzo), ben noti ai cultori della musica di tradizione delle Quattro Province. Il contributo di voci esterne alla comunità cosolana è stato volutamente limitato per focalizzare il più possibile il documento sulla tradizione locale odierna, all'interno di una logica progettuale che si ripropone analoghe operazioni su altre realtà locali, con lo scopo di porre in risalto le caratteristiche specifiche del canto tradizionale odierno nei vari paesi delle Quattro Province. Di Stefano Valla, pifferaio e canterino di Cegni, accompagnato con la consueta perizia dal fisarmonicista Daniele Scurati, è stato determinante il contributo nel riproporre in forma di stranôt, con la voce di Romana Negro, il canto di origine medievale "Adré la riva de lu mar" [Nigra, 69].

Per richiedere il disco "Vieni oi bella" (prezzo 10 euro) spedire un messaggio a paolo@appennino4p.it


I brani

1: Vieni oi bella

voci: Giovanna e Romana Negro, Zulema e Ippolito Negro, Renzo Negruzzo

Quando Afrodite arriva a Cipro, la terra rinverdisce sotto i suoi piedi. Al ritorno di Persefone dall'Ade, la terra trema, spuntano fiori e crescono frutti. Non è solo un'immagine poetica, ma anche l'antichissimo archetipo della donna portatrice di fecondità. Vi si sono ispirati i poeti d'ogni tempo e lo ritroviamo in questa serenata dagli spiccati toni lirici.


2: Angiolina bella Angiolina

voci: Giovanna e Romana Negro, Zulema e Ippolito Negro, Renzo Negruzzo

Questo canto cela un piccolo enigma linguistico, tutto locale, per risolvere il quale occorre pensare alle caratteristiche del dialetto parlato nell'alta val Borbera: chi sono i "piemontesi con la lingua dei genovesi" esperti nell'arte amatoria? Il dibattito è aperto.


3: Lei mi voleva bene

voci: Renzo Negruzzo, Ippolito Negro

Il giardino e la fonte, promesse d'amore. La canzone popolare, come sempre, è custode di simboli antichissimi. L'origine più prossima è ancora nella lirica medievale, che pullula di giardini e fontane in prossimità delle quali accade qualcosa di fatale.


4: Cosetta

voci: Giovanna e Romana Negro, Renzo Negruzzo, Zulema e Ippolito Negro

La drammatica storia di Cosetta era tra le preferite dai mulattieri di Bogli, paese della confinante val Boreca dalla prestigiosa tradizione canora. Si fermavano a mangiare e bere nelle osterie di Cosola, e cantavano. A Cosola era rimasto solo un ricordo frammentario di questa canzone, ricostruita grazie alla memoria di Maria Negro e dei fratelli Marco e Pio Negro.


5: Perché piangi

voce: Romana Negro

Il canto è eseguito dalla voce solista di Romana Negro. Un canto di lontananza, tema sentimentale eterno, qui contestualizzato nel dramma moderno della partenza per il servizio militare.


6: Dimmi che növa

voce: Ippolito Negro

È uno stranot entrato nel ciclo matrimoniale al pari di Sposina. "Dimmi che növa" è un canto lirico, molto toccante, che, contrariamente a "Sposina", non presenta accenti drammatici. La melodia da piffero plasma ampie campiture che evocano gli spazi aperti di una sera d'estate al di sotto del solito fatale balcone.


7: Tutte le lettere

voci: Giovanna e Romana Negro, Zulema Negro

Possiamo immaginare che molte ragazze si siano riconosciute in questo canto di disarmante semplicità, dove la collera per l'abbandono da parte dell'amato si stempera in malinconia e dolcezza. Il genere della lettera d'amore, improntata al dolore per l'abbandono e al ricordo della felicità trascorsa, nasce probabilmente con le Eroidi di Ovidio (43 a.C. - 17 d.C.). Conosce poi l'enorme fortuna dell'età "ovidiana", tra il 12' e 14' secolo e si diffonde nel Rinascimento in tutte le letterature europee. In Francia, scrive Gabriella Leto, "nel secolo 18', si diffuse un genere di lettera lacrimosa e galante, elaborata sul modello delle Heroides" [Ovidio, Eroidi, a cura di G. Leto, Torino 1966, p. 9].


8: Majulin

voci: Giovanna e Romana Negro, Wilma Negruzzo, Zulema e Ippolito Negro, Renzo Negruzzo, Marco Domenichetti

"L'infanticida condannata è argomento di canto popolare in quasi tutti i paesi", scrive il Nigra a proposito di quei canti da lui stesso riuniti sotto il titolo di "Infanticida alla forca" [Nigra, 10]. La versione cosolana presenta un testo semplificato rispetto a quelle riportate dal Nigra, dove fa la sua apparizione il consueto gentil galant che chiede di vedere la bella prigioniera. Gli vien risposto che la vedrà sì, ma in compagnia del boia che si appresta a giustiziarla. Però il tema simbolico centrale, il bambino gettato nell'acqua, è presente nella nostra canzone, ed è forse questo il nucleo più antico, mitologico o leggendario, della storia, che nelle versioni anglo-sassoni e germaniche si evolve nel salvataggio del bimbo da parte degli angeli e nel suo ritorno, dopo sette anni, a visitare la madre in prigione. Il salvataggio del bimbo affidato alle acque è uno dei temi più antichi della storia dell'umanità ed è superfluo qui ricordarne gli esempi.


9: La strada nel bosco

voci: Giovanna e Romana Negro, Renzo Negruzzo, Marco Domenichetti, Stefano Valla

Un altro viaggio nella natura assunta a simbolo dei piaceri amorosi. Terra, mare e cielo risuonano in cosmica congiunzione nei tratti essenziali del canto di tradizione. La spontaneità ed originarietà della poesia popolare è come sempre sicuro antidoto al cattivo gusto.


10: Bosch ad Dâi

voce: Ippolito Negro

La più cosolana delle canzoni qui raccolte. Se ne ricorda l'autore, soprannominato Sataturnu, che la compose per celebrare il suo matrimonio forse anomalo, che presumibilmente suscitò commenti sarcastici nei compaesani. Lo sposo annuncia il suo arrivo al paese dell'amata con una "brugida", ovvero un grido animalesco, poco convenzionale, ma in pieno spirito carnevalesco. Che i carnevali tradizionali abbiano nella parodia del matrimonio uno dei loro temi centrali è infatti cosa risaputa e non estranea alla cultura tradizionale delle Quattro Province. L'arrivo a Cosola del corteo nuziale è annunciato dal suono di piffero e cornamusa (quest'ultima segnalata dall'uso dell'espressione "sgunfiai i suonatori" nella versione delle sorelle Mafalda e Maria Negro). Benché tutti sminuiscano le grazie e l'altezza della sposa, l'innamorato non recede e si ripropone di rimediare con "un paio di scarpettin ben alte di calcagno", e due anellini che certo accresceranno la bellezza della fanciulla di Daglio. La canzone richiama, per la melodia e il motivo delle "scarpette ben alte di calcagno" la più nota "Sü e zü per San German".

Quando sun stà inti boschi d'Dai
l'ü trai d'üna brügida,
la me Tranquilla la m'à sentì
e l'è rimasta stramurtita.

Quando sun sta insela piana
con una coppia di suonatori
tüta la gente curivan là
per vedere la mia sposa.

Tutti mi dicevano che l'era piccolina
ma mi la me par granda,
mi che sun 'ndai aposta a Dai
per piala bela granda!

Ti comprerò un par de scarpettin
un po' alti di calcagno.
I scarpettin i te van ben ben, te stan proprio ben,
ma sono alti, troppo alti.

Ti comprerò un par di anellin
che pendon giù d'in gloria
e giù d'in gloria, e giù d'in ciel, cara la mia bella come ti voglio ben,
e ti prego di non lasciarmi.


11: Le carrozze

voci: Giovanna e Romana Negro, Zulema e Ippolito Negro, Renzo Negruzzo, Marco Domenichetti

Diffusissimo canto, entrato a far parte del rituale matrimoniale quasi con funzione didattica. Lo si ritrova in varie zone del Nord Italia. Presenta un'interessante commistione di toni lirici, drammatici e realistici.


12: Re Gilardin

voci: Renzo Negruzzo, Romana Negro

Insegnata da Maria Negro al figlio Renzo Negruzzo e alla nuora Romana. Nigra ha titolato la canzone, nelle sue numerose varianti, "Morte occulta". Il diplomatico canavesano riporta quindi l'opinione di Svend Grundtvig che, dopo aver analizzato in uno studio comparativo del 1881 i canti popolari di varie regioni europee aventi attinenza con il contenuto della canzone, riconobbe alla stessa un'origine celtica. Forse il Grundtvig pervenne a tale conclusione avendo presente il tema del "re ferito", proprio dell'antica letteratura celtica. Romana racconta di aver appresa da bambina, in forma di fiaba, la storia narrata nella canzone e di averne imparato la melodia solo successivamente, dalla voce della suocera, Maria Negro.


13: Il fraticello

voci: Ippolito e Zulema Negro, Giovanna e Romana Negro, Renzo Negruzzo, Marco Domenichetti

Il diffusissimo motivo popolare del frate traditore sfocia in una morale decisamente alternativa rispetto alla furiosa gelosia omicida del marito cornuto. Una morale improntata al buon senso, che potremmo definire "naturalistica", e alla quale viene altrettanto naturale aderire, anche se risulta difficile pensare che la schiettezza della sposina abbia potuto placare le ire del consorte ingannato. Nigra titola "Il taglione" una canzone raccolta nel Biellese dove si trova lo stesso atteggiamento da parte di una sposa infedele: "O piano, piano, marito caro, le mie ragioni lassèmie dì | Tu me l'hai fatta nel mez di marzo, e te la rendo nel mese d'avril | Tu me l'hai fatta cun na villana, e te la rendo ch'un citadin." Anche la nostra sposa "mal maritata" avrà avuto qualcosa da rimproverare al marito.


14: Erano tre sorelle

voci: Giovanna e Romana Negro, Renzo Negruzzo, Zulema e Ippolito Negro, Marco Domenichetti

Canto diffusissimo, presente nella tradizione orale di varie regioni del nord e del sud d'Italia. È pervaso da un'atmosfera onirica e denso di simbolismi. Il tema è quello dell'iniziazione all'amore, simboleggiata dalla caduta in mare dell'anello. Le diverse versioni presentano esiti altrettanto differenziati, proprio come nella vita. Nigra, che titola la canzone "La pesca dell'anello" [66], riporta un'opinione dotta secondo la quale il motivo della pesca dell'anello avrebbe "qualche lontana relazione con la leggenda dell'uomo-pesce, incarnata nel pugliese, messinese, o catanese Nicola-Pesce, detto Cola-Pesce, la quale, per suggerimento di Goethe, fornì a Schiller l'argomento d'una delle sue celebri ballate" [Nigra, p. 415]. Va detto che il motivo delle tre sorelle in attesa di scoprire l'amore sulla riva del mare si ritrova in un'anonima poesia provenzale del 12'-13' secolo, il cui incipit recita: "Trois sereurs seur rive mer | chantent cler" ("Tre sorelle sulla riva del mare | cantano con voci chiare") [cfr. A. Roncaglia, Poesia dell'età cortese, Milano 1961, p. 422]. Chissà che una più attenta ricerca nella vasta materia della lirica medievale non possa portare ad individuare più strette ascendenze.


15: Son tornata dalla Francia

voci: Giovanna e Romana Negro, Renzo Negruzzo, Zulema e Ippolito Negro

Canto d'amore sublimato o semplicemente impossibile; lei non è "né montanara né cittadina", è invece una creatura soprannaturale, immacolata come un giglio, forse scaturita da qualche antica leggenda celtica. Anche qui il riferimento alla poesia medievale (un altro anonimo del 11'-12' secolo) è certo, anche se frammentario. Vi si trova il tema dell'incontro, la provenienza dalla Francia, il riferimento alla veste (che nell'antica poesia è descritta nel dettaglio), e infine la dichiarazione delle origini soprannaturali della fanciulla: "La seraine ele est ma mere, | qui chantent in la mer salee | et plus haut rivage" ("La sirena è mia madre, | che canta nel mare salso | dove più fonda è la costa") [cfr. Roncaglia, p. 417].


16: Adré la riva de lu mar

voce: Romana Negro; piffero: Stefano Valla; fisarmonica: Daniele Scurati

L'incontro tra la pastorella e il cavaliere è il più classico esempio dell'ascendenza medievale dei canti di tradizione del Nord Italia. Già il Nigra ne indicava la sicura corrispondenza con il Carmen 119 dei celebri Carmina Burana (12'-13' secolo) reperiti nel monastero di Benediktbeuren (da cui il nome della raccolta) in Baviera. Il finale della canzone è invece analogo ad altri due carmi della stessa raccolta (120 e 52). Stranamente incruenta la punizione paventata per l'eventuale infedeltà della pastora. Il canto affonda le sue radici nel repertorio di quegli scolari vagabondi "vestiti da chierici, che nel 12' secolo e seguente, col nome di Goliardi, giravano da scuola a scuola, da Bologna a Parigi, da Colonia a Pavia, da Toledo a Salerno..." [Nigra, p. 421-434]. Il motivo dell'uccisione del lupo e della profferta amorosa è al centro anche del componimento di Adam de la Halle (13' sec.), "La commedia di Robin e Marion", mentre il tentativo di seduzione della pastorella da parte del cavaliere era motivo diffusissimo che dal trovatore Marcabru, vissuto nel 12' secolo ("L'autrier jost'una sebissa | trobei pastora mestissa..."), è pervenuto nelle ballate lirico-narrative dell'Italia settentrionale. Il canto è qui eseguito in forma di stranòt, con la melodia del canto che si svolge parallelamente a quella del piffero esaltando le doti vocali della canterina.


17: Era figlia di un fittavolo

voci: Romana Negro, Renzo Negruzzo

Drammatica storia di abbandono e crudeltà, una figlia affranta e un padre disumano. Le mura del convento, destino di segregazione per tante giovani vite, si ergono con la stessa cupezza anche nella canzone Vorrei essere come una formica.La storia potrebbe basarsi su di un fatto reale e rientrare nel repertorio dei cantastorie.


18: Signor capitano

voci: Renzo Negruzzo, Romana Negro

Il dramma della lontananza dall'amata, dell'incontro mancato. Il bacio alla fanciulla amata oramai morta è un tratto macabro di ascendenza medievale, esemplarizzato da Shakespeare in Romeo e Giulietta, rinvigorito dal gusto romantico, ben radicato nella sensibilità popolare.


19: Stornelli della monda

voci: Zulema Negro, Giovanna e Romana Negro

Ben viva nella memoria permane l'immagine del camion che partiva verso le risaie della Lomellina e del Vercellese, portando alla stagione della monda, verso un guadagno sudato, magro ma sicuro, le donne cosolane. Partivano le ragazze lasciando il moroso, e partivano le donne lasciando marito e figli. Vi era chi piangeva, ma le più cantavano, e se per la partenza c'era un canto, ce n'era uno anche per il ritorno, magari imparato proprio tra le acque limacciose delle risaie, grande mescita di canti tradizionali che lì confluivano da diverse aree geografiche.


20: Vorrei essere come una formica

voce: Romana Negro

Il tema della metamorfosi ebbe fortuna immensa e duratura nella sensibilità popolare ed è ampiamente documentato. Ancora una volta il pensiero vola ad Ovidio, alle sue "Metamorfosi", l'opera che più d'ogni altra illustra la forza dei sentimenti e delle passioni che travalica i limiti imposti dalla natura. In questo canto, sotteso al quale echeggia il suono dell'antico oboe popolare, il chiarore solare dei lunghi capelli contrasta con la cupezza delle alte mura che separano dal mondo la fanciulla segregata. Romana ha appreso questo canto dallo sconfinato repertorio della suocera Maria.


21: Mama mia mi vöi maridam

voce: Zulema Negro

Tutta la diffidenza del mondo contadino nei confronti di pretendenti al matrimonio troppo blasonati. L'inganno è in agguato e la diffidenza d'obbligo. Ma soprattutto erano le differenze tra i ranghi sociali a non lasciare speranza di esito positivo ad una scelta matrimoniale che avesse voluto infrangerne i confini. La melodia lenta ed arcaica è di una ninna nanna, ed ogni ninna nanna, oltre ad indurre la benedizione del sonno, rivestiva funzioni esorcistiche e didattiche. Era la prima forma di insegnamento, destinato ad imprimersi negli strati più profondi della coscienza. Zulema Negro ha appreso questo canto dolcissimo dalla nonna Pinotta.


22: Margherita de la Piev del Cairo (Sposina)

voci: Maria e Mafalda Negro

Nigra riporta varie versioni di questa canzone, o di canti aventi un tema analogo, provenienti dal Novarese, dal basso Monferrato, dalla collina di Torino, dal Canavese e dal Monferrato ["Sposa per forza": 37]. "Il tema della maritata a malincuore, che muore di cordoglio, è specialmente caro alla poesia popolare della bassa Bretagna" [Nigra, p. 243]. Della lunghissima e bellissima ballata, che testimonia anche lo stile antico del canto epico-narrativo, riportiamo la parte che, scorporata dal resto della canzone, entrò a far parte del rituale matrimoniale. Alla gioiosità di "Bella növa" e al lirismo venato di crudezza di "Le carrozze", "Sposina" contrappone la descrizione drammatica di una realtà costante del mondo contadino (ma non solo) del passato, ovvero il matrimonio per forza o per convenienza. Ma la poesia del canto è tutta dalla parte di lei, come per compensare una secolare ingiustizia.


23: L'usignolo
24: Paloma

Squadra di canto di Cosola, registrazione 1958.

Nel 1958 un emigrato cosolano in America, Pietro Negro detto Pidròn, registrò sei brani di trallalero eseguiti dalla squadra di canto di Cosola. I dischi, gentilmente concessi in prestito dalla proprietaria Elsa Callegari "Adele", sono stati masterizzati e, nei limiti del possibile, restaurati. La bassa qualità della registrazione nulla toglie al valore documentario di questi esempi di "trallalero montanaro". Dei due brani riportati il primo rientra a pieno titolo nello stile del trallalero, mentre il secondo è una elaborazione polivocale di un brano non di tradizione locale.

Paolo Ferrari Magà
dal libretto del disco
"Vieni oi bella" delle "Voci libere di Cosola", Musa, Cosola 2004
fotografie di Massimo Sorlino e Paolo Ferrari Magà


Le Voci libere di Cosola = (Dove comincia l'Appennino) / redazione ; © autori — <https://www.appennino4p.it/cosola.htm> 2004.12 - 2008.04 -