Dove comincia l'Appennino

Le danze tradizionali delle Quattro Province


piana ; alessandrina e monferrina ; giga ; balli desueti

"Io gli dissi se egli non ballava ed egli mi rispose che non ballava perché i capi festa volevano mezzo franco e che in Torriglia non si era mai usato di darvi più di mezza mutta."
     (testo del 1839 riportato in Mauro Casale, La Magnifica comunità di Torriglia e C., CM Alta val Trebbia, 1985)


Dei balli da piffero odierni fanno parte alcune danze antiche, che sono qui descritte insieme ad altre oggi non più praticate.


Piana

Quello che pare contraddistinguere la piana è il motivo coreografico del cerchio, anche se da alcune interviste sono emerse notizie contraddittorie, come a San Sebastiano e a Fabbrica Curone dove viene ricordata con figure simili alla giga, e a Negruzzo dove la piana "si ballava a coppie quasi come la monferrina". La maggior parte degli informatori (Cegni, Costa di Monte Martino, Alpe di Gorreto, Salogni ecc.) descrivono invece un ballo in tondo con un numero illimitato di partecipanti.

«Nella piana ci si prende per mano e si gira di qua e di là, poi una coppia va al centro con tutto il cerchio grande attorno e fanno il passo della giga, il cerchio e la coppia ballano uguali» (Teresa Pelle). Degna di nota, anche se assolutamente anomala, è la descrizione raccolta a Romagnese, durante una Festa degli anziani: «La piana la ballava un solo ballerino con sei donne, si metteva in mezzo e le sei donne giravano in cerchio tenendosi per mano e facevano il coro; il ballerino faceva un salto con tutte le donne e loro cantavano e ballavano la piana, c'era il piffero e la fisarmonica». Al Connio di Carrega, nell'alta val Borbera, troviamo una versione della piana nella quale le coppie si dispongono in circolo e ballano la parte di giro con la polca a saltini, all'acuto segnale dato dal piffero alla fine della frase formano un grande cerchio tenendosi per mano ed eseguono il primo balletto, al termine, in coincidenza del solito segnale, si slanciano tutti verso il centro urlando, tornano indietro e fanno il secondo balletto che finisce con un nuovo slancio in avanti, al ritorno le coppie iniziali si riuniscono e riprendono il giro con la polca. Le coppie possono ruotare in senso antiorario, oppure partire a passo di galop e attraversare il cerchio trasversalmente intersecandosi.

Molti elementi coreografici della piana, quali l'esecuzione in cerchio misto intorno a un uomo o a una coppia, la corsa collettiva verso il centro, la variabilità della prima parte coreutica, la riportano ad una pratica di balli cerimoniali collettivi di cui ancora esistono testimonianze nell'Italia settentrionale, solitamente collegate a eventi rituali di gruppi "separati" quali, ad esempio, i coscritti.


Alessandrina e monferrina

Sono sul piano musicale assai difficili da distinguere se non attraverso una consuetudine ed una conoscenza specifica delle melodie; anche per quanto riguarda la forma coreutica i due balli, che hanno la stessa struttura bipartita, vengono spesso confusi e accomunati. Dalla testimonianza di alcuni informatori molto anziani pare che queste danze più anticamente fossero denominate "curente" e solo in un periodo relativamente recente siano state distinte in alessandrina e monferrina.

Una caratteristica costante è data, al contrario della giga, dal numero indeterminato dei partecipanti, siano coppie o singoli ballerini. Le forme in cui vengono ancora oggi indifferentemente eseguite sono fondamentalmente tre:


Giga

Ne esistono due versioni in base al numero delle ballerine presenti nella danza e, conseguentemente, alla quantità delle parti di balletto che vengono ripetute nell'accompagnamento musicale.

Giga a due

Vi partecipano tre ballerini, un uomo e due donne. Nell'introduzione i ballerini fanno un percorso circolare tenendosi per mano oppure, variante della val Staffora, avanzano e indietreggiano in posizione lineare; quindi si staccano e le donne si dispongono frontalmente, il ballerino esegue il balletto con la prima donna, fa passare sottobraccio la prima donna e si dirige verso la seconda; segue il balletto con la seconda donna e la fase di attesa; quindi il susseguirsi di passaggi sottobraccio con l'una e con l'altra fino a ritrovarsi in posizione per la ripresa dei balletti.

Giga a quattro

Vi partecipano quattro donne e un uomo oppure, nella sua forma più completa, due uomini che si muovono simmetricamente nella danza. La sequenza delle figurazioni è la stessa della versione a due, con la differenza che nel mondo della separazione le ballerine si dispongono in una formazione a croce e nei quattro balletti gli uomini eseguono il ballo con ciascuna delle donne. Il raddoppio dei partecipanti rende il ballo più complesso e spettacolare soprattutto nella parte di giro, quando i ballerini compiono i passaggi sottobraccio secondo un preciso schema di spostamenti diagonali e laterali che può cambiare leggermente a seconda della loro provenienza.

Essenzialmente però le descrizioni e le attuali pratiche della giga coincidono in tutta l'area delle Quattro Province, con una sola significativa variante raccolta in val Fontanabuona, dove i cinque ballerini, al termine di ogni sequenza completa, si danno il cambio nella parte dell'uomo; ne risulta una danza che non rispetta i consueti ruoli maschile e femminile, rendendo ogni partecipante a suo turno protagonista.


Balli desueti

Perigurdino o balligordin

Se ne trovano tracce nella zona delle Quattro Province quasi esclusivamente sul versante appenninico ligure, o in territori anticamente liguri, come la val Borbera, oggi in provincia di Alessandria. Riportiamo alcune testimonianze sul perigordino o balligordin, raccolte in varie località:

«C'era il balligordin con un accosto o con due accosti; quando la musica fa il finale dell'accordo fanno l'accosto, poi si distaccano di nuovo e ballano insieme, e poi un altro accosto; nel balletto incrociavano le gambe di seguito o avanti o dietro, durante gli accosti si picchiavano la pancia, si davano le pancionate, ma non c'erano malizie» (Neirone, val Fontanabuona).

«Nel perigurdino si mettevano di fronte a coppie, si venivano incontro e tornavano indietro, poi si scambiavano di fila, le donne andavano al posto degli uomini e viceversa» (Francesco Guerrini, Connio di Carrega, val Borbera).

«Ho ballato una volta il perigurdino con mia madre nel 1946, lei era del 1887. Era un ballo di corteggiamento perché si doveva creare un'intesa solo con gli sguardi; lo ballavano sette uomini da una parte e sette donne dall'altra, ma all'inizio non erano accoppiati; facevano prima dei passi sul posto con le mani sui fianchi, poi un uomo andava verso una donna, ma lei lo poteva evitare, se si incontravano si passavano sotto il braccio e poi facevano i passi saltati. Il perigurdino era un ballo impegnativo, non come la giga che la ballavano tutti, infatti c'era un modo di dire quando un ragazzo e una ragazza cominciavano a filare insieme: "an za fetu trei o quattru perigurdin, allua ghe semmu!"» (Adriano Nicora, Davagna, val Bisagno).


Carmagnola, bal del panettu, girometta

Questi tre balli sono stati accomunati perché, dalle descrizioni raccolte rispettivamente in val Borbera, valle Staffora e val Curone, paiono delinearsi modelli di danza molto simili se pur con denominazione e accompagnamento musicale differente. La denominazione "carmagnola" potrebbe avere una duplice origine: dalla omonima località in provincia di Torino o, più probabilmente, dal nome del ballo simbolo della Rivoluzione francese che ebbe larga diffusione in tutta l'Italia settentrionale. È ipotizzabile quindi un suo arrivo in zona nel repertorio della Repubblica Cisalpina (1797) o, in seguito, dell'impero napoleonico (1805-1814), quando i territori di Novi, Bobbio, Voghera, Tortona erano compresi nel Dipartimento di Genova. Del resto la stessa presenza nel repertorio da piffero di una Monferrina di Napoleone ci mostra la forte rilevanza dell'influsso francese in quell'epoca.

Sulla carmagnola riportiamo questa testimonianza raccolta da Francesco Guerrini: «Ero un bambino quando la vedevo ballare, erano in sei, quattro donne e due uomini, si mettevano su due file di fronte, in ogni fila c'era un uomo che teneva le mani delle due ballerine di fianco a lui; all'inizio andavano avanti e indietro e poi nei balletti gli uomini facevano passare le ballerine una dopo l'altra sotto le braccia alzate senza mai staccare le mani».

La figurazione dell'intreccio caratterizza anche il bal del panettu o del fazzoletto, che si danzava a Negruzzo con la differenza che veniva eseguito da una sola fila di tre ballerini che si tenevano appunto per i fazzoletti.

Nella girometta col fazzoletto, descritta da Caterina Ferrari di San Sebastiano Curone, ritroviamo la stessa struttura coreutica, ma con l'aggiunta di ulteriori precisazioni sull'esecuzione del ballo e soprattutto sul suo accompagnamento musicale: «L'ho ballata con mio padre che era di Cella; quando si andava avanti e indietro si faceva il passo a saltini e quando cambiava la musica si cominciava a incrociarsi tante volte di seguito, in modo che i fazzoletti si attorcigliassero tutti, a un certo punto della suonata si cambiava senso e i fazzoletti tornavano lisci e poi si riprendeva la prima parte; veniva ballata solo da tre in tutta la sala». La prima strofa che la signora Ferrari ci ha cantato: "Girometta della montagna vot venir al pian, vot venir al pian Girometta, vot venir al pian", non lascia dubbi che si tratti di una versione della popolare canzone a ballo, presente fin dal XIV secolo in forme colte e tradizionali in tutt'Italia, che nella zona delle Quattro Province, oltre a comparire nella suite del "Levar di tavola", veniva suonata dal piffero anche con funzione di danza.


Gambolena

Il nome della danza deriva chiaramente dal paese di Gambolò, in Lomellina. Viene ricordata in val Staffora e val di Nizza come una danza in uso fino a circa quarantacinque anni fa, suonata da piffero o da una fisarmonica solista.

Poteva essere ballata da due o tre coppie, i ballerini eseguivano una specie di catena prendendosi sottobraccio e i balletti con un passo di giga incrociato e poggiato avanti, come segnale di passaggio da una figura all'altra battevano le mani sotto una gamba alzata. La gambolena compare anche nel testo del Maragliano sul folclore vogherese, ma l'approssimativa descrizione che ne viene data non corrisponde a quella raccolta oralmente nella zona sopraccitata; vi si trova però un interessante riferimento alla figura dell'intreccio trattata nel paragrafo precedente.


Sestrina

È un'antica danza di probabile provenienza ligure, che nel tempo ha perso la sua primaria funzione per assumere quella di "marcia per strada", cioè melodia di accompagnamento a situazioni itineranti di festa. Viene suonata, ad esempio, lungo il corteo nuziale che dalla chiesa si snoda per il paese o, nelle serate di festa, per rallegrare il percorso tra l'osteria, punto di ritrovo dei suonatori e della compagnia, e il luogo dove si svolgerà il ballo.


Röga, cigun

Le due diverse denominazioni si riferiscono a un medesimo ballo di cui si ha notizia rispettivamente ad Albareto (frazione di Varzi), dove era legato al carnevale, e a Monteghirfo e Moconesi in val Fontanabuona. Le descrizioni, che coincidono perfettamente, parlano di un ballo per soli uomini dove sei ballerini si prendono per mano e formano un cerchio che gira in un senso e nell'altro, a un certo segnale musicale tre di loro si buttano giù puntando i talloni al centro sostenuti dagli altri che continuano a girare, quando i primi tre si rialzano gli altri danno loro il cambio per formare i raggi della ruota. Troviamo altre versioni di questa forma di danza per esempio nel Mulinet, nelle valli occitane in provincia di Cuneo.


Corrente

Pierino Brignoli e Francesco Rebolini, nipoti del pifferaio "il Picco" e originari di Samboneto e Belnome, hanno fornito una precisa ed esauriente descrizione di una corrente da piffero. Si balla in tre coppie, nella posizione di partenza le coppie si dispongono ai vertici di un immaginario triangolo, l'uomo avanti e la donna dietro di lui, staccati. Quando inizia la danza le coppie tracciano dei percorsi lineari incrociandosi continuamente fino alla fine della parte, a questo punto battono le mani e lanciano degli urletti e avviene il cambio di ballerina: nel passaggio gli uomini prendono a braccetto le nuove partner e formano tre nuove coppie che riprendono a intercalarsi fino a un nuovo cambio. «Il piffero faceva una suonata speciale, un tempo svelto, ci si muoveva saltellando, ma non c'era un balletto come la giga, facevano sempre gli incroci e magari all'ultimo quando finiva la suonata attaccavano un valzer e quelle tre coppie lì ballavano il valzer».


Bisagna

Al contrario dei balli citati finora, la bisagna sopravvive nella zona del piffero come brano musicale, mentre si è pressoché persa la memoria della sua forma danzata. Nelle interviste non si va oltre a generiche espressioni come: "è una specie di giga", "era una roba allegra tipo monferrina". Attilio Rocca, fisarmonicista da piffero di Ozzola (val Trebbia), ha riferito questa strofetta:

Quanti gh'ù che fan bisagna
quanti gh'n'e che la san fa,
vüra zu chi de a muntagna
alura lü i la san balà.

Per avere qualche notizia sulla danza bisogna rifarsi a fonti bibliografiche come il già citato Maragliano o gli interessanti reportage sulle usanze tradizionali lasciateci dal Moreau de Saint-Méry, amministratore generale degli Stati di Parma e Piacenza tra il 1801 e il 1806:

"La loro danza preferita è chiamata "forlana" o "bisagna", a seconda delle località. Viene eseguita a coppie ed è faticosa con un ritmo rapido e molto accentuato. L'uomo e la donna indietreggiano alternativamente formando un cerchio seguiti dall'altro ballerino che ne imita i passi. Questi passi non hanno un carattere invariabile, ma è proprio nella loro esecuzione che ognuno mette in risalto la propria capacità. Qualche volta la donna tiene con due mani o con una sola un fazzoletto agitandolo in modo più o meno aggraziato".


Bal del ferì, bal de la scopa, bal de la cadrega

Non si tratta di vere e proprie danze tradizionali, con particolari passi e coreografie, ma di balli-gioco, balli di società presenti in tutta l'Italia settentrionale. Ve ne è testimonianza più che nella zona montana in quella collinare dell'Oltrepò e nel piacentino. Il bal de la scopa e il bal de la cadrega possono essere danzati con qualunque accompagnamento e sono semplicemente dei meccanismi per vivacizzare il ballo permettendo lo scambio o la scelta tra ballerini. Il bal del ferì prevedeva invece rime a botta e risposta, come in questa testimonianza raccolta a San Giovanni di Godiasco: «Una ballerina stava seduta su una sedia e un ballerino andava da lei e le toccava la spalla, lei gli chiedeva "cos'hai?" e lui rispondeva "son ferì", poi doveva fare la rima, per esempio: "son ferì int'un pé par balà con te msé", e faceva la rima, ballavano un giro di valzer insieme e poi si davano il cambio sulla sedia».

basato su:
Annalisa Scarsellini, Placida Staro, M Zacchi, Osservazioni sui balli "da piffero",
in Pavia e il suo territorio, Silvana, Milano 1990, p. 461-494


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