Dove comincia l'Appennino

Sulle orme del Draghin


chi era il Draghin? ; "Matapuexi" ; Cicagna ; Montebruno ; l'Alfeo ; Ponte Organasco ; Montarsolo ; Carana ; Bobbio ; carta: 1, 2, 3, 4

Montà di Montarsö... / CGUn viaggio simbolico

"Splende la luna in cielo", nel cielo vastissimo di umanità della tradizione vivente. Nulla di mistico, intendiamoci, solamente una terragna coscienza di popolo fecondata da bagliori notturni d'un cielo che puoi toccare e sentire in moti inferici di germogli e vinacce ribollenti, nello sfragugliare di sterpi e ramaglie sotto l'incedere dei numerosi che traslarono i loro destini per guadi di riali ombrosi, verso approdi di riviere assolate, il mare antico e cangiante, baleno ad ogni valicare, poi grembo sussultante spesso ferale e vorace, infine ritorno per i più, per altri soglia immensa, d'un tratto in memoria fattasi stretta come solco o ferita. Quando l'ê stô intla cità... / CG Dietro ad ogni viaggio un mestiere antico, scarpe chiodate, pane e formaggio e mele selvatiche. Queste dorsali vellicano il cielo e non gridano nessuna sfida, solamente chiamano ad andare. E andavano a quell'orizzonte inquieto, smarrente e salato, oppure alle pianure del frumento e del riso, e di qua e di là venivano con vino e sale, a scambiarsi con le merci anche le anime, e dell'anima le voci e i suoni.

Non c'è civiltà del viaggio, per terra o per mare, che non sublimi nell'archetipo le sue trame infinite. Ci sono i molti viaggi, storie ognuna diversa, presto disciolte in rivoli di memorie esili o disperse in dimenticanza. C'è il viaggio mitico, archetipico, che dei molti viaggi raccoglie in sé, in ombra e chiarore di simbolo, una quintessenzialità dell'andar per mondo. È il Draghin polivalente emblema di un destino individuale e collettivo al contempo. Il suo viaggio è rimasto in uno dei più intensi canti della tradizione delle Quattro Province, recentemente riproposto dalle voci terragne ed incallite di Ettore Losini e Attilio Rocca.

Ettore Losini Bani e Attilio Rocca Tilion : Bogli : 2004 / CG Al Draghin si attribuisce l'originale attitudine a sopprimere periodicamente le proprie mogli. Arrestato e condotto verso una città invisibile (Bobbio o, chissà, Milano), luogo sfumante nell'indefinito dell'altro e del remoto, nel corso del suo cammino scandiva i momenti di sconforto con le note dell'oboe popolare, suggellando la serie di suonate con un "bicero" di buon vino, viatico atto a prepararlo alla difficile prova del processo. Processo in odor di carnevale, si direbbe, dal momento che i giudici stimarono le sue virtù di suonatore sufficienti a riscattare il poco galante trattamento riservato alle mogli, e lo lasciarono in libertà, secondo alcuni racconti proprio su pressione di potenti signori di Milano desiderosi di averlo come suonatore al carnevale ambrosiano.

Quando l'ê stô alla porta de la prigion... / CG È oggi opinione comune che lo stesso Draghin abbia costruito attorno a sé e alla sua memoria questa trama di leggenda. Stefano Valla, pifferaio e canterino di Cegni in val Staffora, mi ha detto una volta che a suo vedere il personaggio del Draghìn simboleggia il cambiamento cui aspira ogni suonatore di valore, e la sua manìa uxoricida (ma una delle tre mogli morì dal ridere, il grande atto, liberatorio e fecondatore, della cultura popolare!) sembra anche a me alludere ad un sacrificale atto di rigenerazione, culturale -- quindi musicale --, e nel contempo vegetativa, in sintonia con l'istintiva simbolicità naturalistica del mondo contadino. Il tutto trasposto nelle modalità eccessive e paradossali dello spirito carnevalesco, l'essenza più intima della cultura popolare. Il percorso del Draghin verso il luogo del processo, scandito dal gioioso lamento del piffero, non evoca forse la cattura e il processo degli innumerevoli protagonisti dei riti carnevaleschi, sottoposti a sentenze paradossali, proprio come il Draghin, e quindi assolti o condannati (che è poi, nella logica carnevalesca, la stessa cosa) con atto catartico, rinnovante, armonizzante? Quando l'ê stô 'nta piana de Carana... / CG Anche la sua morte, che si vuole soppraggiunta durante le Cinque Giornate di Milano -- e la rivolta è sempre pervasa di spirito carnevalesco seppure degenerato --, mi pare corrispondere a queste estemporanee riflessioni.

Il canto del Draghin traccia un percorso che risale dalla collina genovese, e raggiunge Bobbio (menzionato in una delle versioni del canto raccolta da Aurelio Citelli dalla voce di Teresa Trollio), attraverso le località di Montebruno, Ponte Organasco, Montarsolo e Carana, con una deviazione, documentata in rare versioni del canto, verso la cima del monte Alfeo, da dove l'antico pifferaio avrà cercato un ultimo sguardo al nativo borgo di Suzzi, inombrato sui versanti selvosi della val Boreca.

Marco Domenichetti : 2002 circa / MS La presunta storicità del viaggio del Draghin sbiadisce per rilevanza a fronte dell'intensa simbolicità e dell'afflato mitico che pervade la vicenda del pifferaio di Suzzi. Questo viaggio è una festa, scandita dall'esecuzione di piane e bisagne, ed ogni ballo è in fondo diagramma della vicenda umana, riflesso ritualizzato dei moti relazionali che ne intessono il divenire, delle misteriose alternanze di incontri e distacchi, gioie e sofferenze. Questo viaggio verso un destino tragico o grottesco può anche, io credo, assurgere a simbolo dei molti viaggi, fatiche contrappuntate di momenti di sconforto, gioia ed ebbrezza, scommessa e rischio, elisione di margini e disvelamento di possibilità nell'imprevisto, nella sorpresa.

Il viaggio del Draghin delinea anche una dorsale che può essere spartiacque tra due correnti di memoria, distinte benché l'una nell'altra sfumanti: quella mitica e quella della storia. Questa è la tradizione, che si fa beffe del documento scritto, tutto macina tra desiderio e casualità, nel relativo imponderabile di vero e falso. Che Draghin abbia voluto assicurarsi più chiara e duratura fama attraverso l'invenzione di una sua personale leggenda, è ipotesi plausibile quanto indimostrabile. Che questa sia oggi la convinzione dei più è però un dato certo che riflette forse un mutamento di mentalità, una minor disponibilità ad accogliere il leggendario, ma anche questo è tutto da vedere. Perché l'invenzione del Draghin è sopravvissuta, probabilmente, proprio nella non credulità, nel disincanto caratteristico del mondo contadino, che sa commuoversi per miti e prodigi e con lo stesso gesto riderne, cogliendone il tragico ed il grottesco, la realtà e il paradosso.

Quando l'ê stò a a montà der Ponte... / CG Il canto del Draghin non risuona più così sovente nelle osterie delle valli, e questo potrebbe anche significare che la sua funzione è esaurita. Il tempo della memoria mitica sta cedendo a quello della memoria storica, il mito del Draghin cede il passo alla storia di Giacomo "Jacmon" Sala, pifferaio di Cegni cui pervenne, si dice, la "chiave" del Draghìn, per il tramite dei pifferai "Pianserêiu" e "Brigiottu" che pure possiamo ascrivere ad un memorare mitizzante, ancora od oramai più luoghi che persone. Eppure il mito getta luce sulla storia, la feconda di valori simbolici, la stacca dal duro e ristretto orizzonte del documento, la libera nei domini dell'immaginario e del sentimento. Se Draghin rappresenta una figura catartica carnevalesca, il suo processo e la sua assoluzione significano che il rinnovamento si compie, e si compie la ciclica rinascita di natura e cultura, che è il grande atto del carnevale.

Fabrizio Ferrari : Busalla : 2004 / MS La storia del Draghin non racconta di un suo ritorno, il suo viaggio è della natura dei percorsi iniziatici e sciamanici, il suo ritorno è forse illusorio perché quel viaggio in realtà non si è mai concluso, non si conclude mai. O forse il ritorno del Draghin si è già compiuto nel cedere del simbolo alla realtà vivente delle nuove generazioni di pifferai che ne condividono l'eredità culturale. Anche questa storia è forse già leggenda, perché è un racconto di destini e scelte naturali e audaci, a volte forse inconsapevoli, un guardarsi alle spalle e nel cuore, e poi volgere innanzi pensandosi vivi e presenti nella propria inattualità, che è poi solo quel modo diverso, antico e nuovo, di essere al mondo in un proprio presente a dispetto dei modelli culturali imposti e dominanti. Anche questa è la tradizione, che non si interroga molto su se stessa, che vive in egual misura nell'ampiezza delle molte voci anonime, e nell'altezza di alcuni che un tempo e ancora oggi lasciarono e lasceranno impronta di leggenda, impulso al rinnovamento e alla continuità.

tratto da: La via del Draghin / Paolo Ferrari
= World music magazine. _ : 2004. p _


Il ritorno del Draghin

Quando l'ê stô a Montebrün... / CG...Ma un bêl dì ch'u gh'n'âva asè dabon
de stâ dré a far legría ai siuri de Milan
u l'â pià sü u Draghin e l'é vegnü` indré
prôpi per la strâ de düzent ân fâ.
O Draghin, caro Draghin
v'al ricordì ancora qual é u cammin?...

Da u ponte gobbo vardì la Trêbia
e v'a smia che la valle la sia cambià,
traversà da ste strade pugiè insl'âria
per câri tüt serà ch'i viàgen sensa mül:
fêive coragio, bêlo Draghin,
perché quest chi l'â da ves u destin.

"Ma mi a vegn' indré co u me pinfro in man
e la montagna tornerà a balà!
Andarö` sü fin a Còlleri e a Pêi,
la sira a i Cabân i m' sentirân rivà,

Quando l'è partio da Cicagna... / CG e u dì ch' u vena a Bui e a Prupà
che l'Àntua verd u s' vëgarà in dal sé."
Fêive coragio, caro Draghin,
perché quest chi l'é u vostro destin.

"Pö` andarö` zü a Montebrün e a Sicâgna
e ci risuonerò la mia bisagna,
e tornerò a vëgh u mâr de Lavâgna
d' indua u znêivru sa mis-cia a l'uliv."
Fêine coragio, bêlo Draghin
perché sta montâgna l'é u nostro destin!"


Claudio Gnoli con la collaborazione di Paolo Ferrari Magà e Daniele Vitali


Sulle orme del Draghin (Dove comincia l'Appennino) / redazione ; © autori -- <https://www.appennino4p.it/draghin4.htm> : 2005.01 -