Dove comincia l'Appennino

Note culturali e naturalistiche sul territorio delle Quattro Province

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carta a grande scala L'Appennino, la catena montuosa che percorre come un'ossatura tutta l'Italia peninsulare, ha inizio all'altezza del passo del Turchino, fra Genova Voltri e Alessandria. Qualcuno ipotizza che il nome Appennino discenda da Pen, dio ligure dei boschi e delle montagne, dal quale sarebbero derivati anche i nomi di monti come Penna e Pénice.

Queste pagine sono dedicate al primo tratto settentrionale dell'Appennino, un gruppo di montagne e valli divise, dal punto di vista amministrativo, in ben quattro province di quattro regioni diverse: Genova (Liguria), Alessandria (Piemonte), Pavia (Lombardia) e Piacenza (Emilia-Romagna). Culturalmente, però, si tratta di un'area omogenea, dove per secoli la gente ha vissuto in modi simili (coltivando cereali, patate e castagne, allevando capre e mucche, costruendo villaggi di impianto caratteristico, ecc.) e si è conosciuta e sposata più facilmente a cavallo tra le alte valli che fra queste e le corrispondenti zone di pianura. Questa unità è testimoniata soprattutto nella musica tradizionale popolare, che perciò è stata definita delle Quattro Province: espressione che ci sembra la più adatta a denotare l'area di cui parliamo.


Una terra di ponti

Bobbio. Ponte medievale gobbo sul Trebbia Si sa che l'immaginario popolare associa usualmente l'edificazione di un ponte all'intervento disturbante del diavolo, ed è facile capirne la ragione: i ponti uniscono, il diavolo è "colui che divide". [...] Nella cultura popolare più folletto disturbante che incarnazione del male assoluto, il diavolo insinua, con il suo operare negativo, l'immagine della contraddizione insita in ogni azione volta ad unire, a valicare, a guadare. In fondo, la sua disperata opposizione alla creazione di contatti, nessi, comunicazioni, reca in sé un germe di valore: la difesa di identità e specificità, però scaduta nel malinteso di una chiusura all'altro, di un rifiuto assoluto e sterile.

Se il ponte gobbo di Bobbio, che unisce le rive opposte della Trebbia, mi ha suggerito queste considerazioni, è perché in queste valli, che siamo oramai usi definire "delle Quattro Province", si palesa in pienezza la complessità dei molteplici e contraddittori temi di unione e conflitto, chiusura e scambio, apertura e isolamento. Valli percorse da tracciati millenari, vie marenche e vie del sale, per frantumi di ghiaie e correnti di acque, oppure tra le balze delle creste, d'azzurro e verde, specchiati a nord in nebbie di pianura o a sud nel bagliore diafano di un lembo di mare. Valli un tempo di antiche solidarietà, consuetudini comunitarie, ampiezza di pascoli, ricchezza d'acque. Ma anche di chiostre remote e greppi ardui, di esistenze consumate su orizzonti sempre uguali, di rivalità antiche e sanguigne. Valli oggi fatte sovente impenetrabili di selva, borghi in rovina avvinti da un trionfo di vegetazione, chiusi in cupezza d'abbandono.

Paolo Ferrari Magà
(Dalla val Trebbia alle "molte province" = World music magazine. 62 : 2003.10. p 5-7)

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