Dove comincia l'Appennino

I segni di una cultura


quello che resta ; leggere luoghi ; valori ; la comunità locale ; sabbia segnata ; metodo per sapere quanta gente abita ancora la montagna ; che cos'è la tradizione

campi a Rossarola / CG La civiltà contadina è l'unica civiltà che
ho conosciuto
/ Ermanno Olmi

Quello che resta

Osservando i nostri monti, capita di pensare cosa resti di chi ha vissuto lassù negli ultimi due secoli. Restano certamente architetture: case, chiese, cascine, ponti, seccherecci, stalle, fasce, muretti, maghè, chiuse, mulini e molti altri manufatti. Poi per chi guarda, magari un po' distrattamente, resta un paesaggio: prati, alberi da frutto, boschi di castagni domestici, pascoli; elementi di una visione talvolta compiaciuta. E ancora: strade, mulattiere e sentieri. Si potrebbe continuare con ciò che riguarda l'artigianato domestico, le tecniche di edilizia e le pratiche agricole.

Esiste poi la parte di cultura rituale, del pensiero, delle idee, degli usi, dei costumi, delle consuetudini, dello spirito, della solidarietà. Si tratta di una parte fondamentale che spesso si riassume in termini come tradizione e identità. La gente sulla terra ha lavorato, pregato, litigato, amato, odiato, pensato, celebrato rituali, cresciuto figli, sviluppato idee, elaborato nuove pratiche, selezionato piante, frutti e animali; ha ballato, cantato, festeggiato le ricorrenze e molto altro. Tutto questo è cultura. Ma se lo è, quelli che hanno contribuito a formarla e ne conoscevano -- o ne conoscono -- i segreti, anche solo perché vivevano praticandoli, essi allora sono colti? Sì, lo sono. Se esiste quella cultura, chi la conosce, la pratica, la tramanda o ne è stato interprete in prima persona è colto. Ed è colto chi parla la stessa lingua e contribuisce a mantenere in vita le stesse parole che per secoli hanno fatto comunicare fra di loro le persone.


Leggere luoghi

Ci sono molti modi di guardare un paesaggio, anche solo attraverso i finestrini della propria auto; comunque lo si guardi, quel paesaggio mostra sempre le attività produttive che esistevano e che esistono in un territorio. Può sembrare anche banale, ma se ci si riferisce al paesaggio rurale non è così evidente.

una vecchia auto usata come appoggio per la legna : Vigoponzo / CG Sarà capitato a tutti di percorrere una strada panoramica in una zona di montagna ricca di prati verdi, magari a primavera quando quel verde assume tonalità perfino difficili da descrivere. Quelle belle distese che fanno bene agli occhi quanto all'anima sono il frutto di un'attività agricola che spesso viene, se non ignorata, considerata come scontata. I paesaggi svizzeri o altoatesini punteggiati di case circondate da terreni verdissimi tradiscono chiaramente il loro utilizzo agricolo. Ma non sempre ci si sofferma a considerare le ragioni che mantengono quei terreni così curati; più spesso si osservano e ci si meraviglia positivamente di tanta bellezza.

Bisogna imparare a leggere la mano dell'uomo: così dove vediamo prati verdi e curati con o senza animali, possiamo considerare che -- per il pascolo o per lo sfalcio dell'erba --lì si svolga un'attività legata all'allevamento. Altra cosa è un territorio abbandonato, dove la vegetazione della macchia e del bosco ha ingoiato tutto ciò che è opera dell'uomo. Spesso sulle nostre montagne troviamo aree in cui tutto sembra tornato selva. Poi, all'improvviso, un ritaglio di verde richiama la nostra attenzione, a testimoniare che lì qualcuno vive e cura il territorio, regalando indirettamente a tutti un comune beneficio ambientale.


Valori

Questo bene comune derivato dall'attività agricola dovrebbe in qualche modo essere riconosciuto ai contadini che lo hanno prodotto e bisognerebbe riuscire a quantificarne la misura: naturalmente parliamo di attività che non avvelenano la terra e che traggono le loro risorse dal territorio che le ospita, dove i rivi non diventano scarichi inquinati, dove il fieno per gli animali è sfalciato sul posto; e così via.

Allora viene da chiedersi: come si può misurare il valore ambientale di una vacca al pascolo? E come si può misurare il valore ambientale del fieno sfalciato per integrare la sua alimentazione? Quali benefici comuni reca ogni litro di latte munto da quella vacca?

I contadini che lavorano sui monti restituiscono alla comunità un valore incalcolabile sotto forma di presidio e cura del territorio. Se allevano una vacca potranno decidere di lasciarla pascolare nella bella stagione e di tagliare il fieno per l'inverno: avranno, perciò, bisogno di un pascolo e di prati da sfalciare. Ma se le vacche sono due i bisogni raddoppiano e così il territorio usato per il pascolo e la fienagione. Per produrre castagne secche hanno bisogno di curare un bosco. Per seminare cereali od ortaggi hanno bisogno di fasce in piedi, di terreni ordinati, di strade per raggiungerli, e di sistemi per incanalare le acque e per controllarne il deflusso.

Rossarola / CG Se lavorano su quei monti, là avranno casa. Se da quel territorio ricavano il necessario per mantenere le loro famiglie, dovranno curarlo e preservarlo, imparando a difenderlo dal fuoco come dall'acqua. Se tutto questo è vero, il rischio che da quel monte scendano a valle montagne di terra e fango diminuirà drasticamente. Se è vero, diminuiranno i cerchi di fuoco sulle montagne e non si sentirà odore di legna che brucia dove non ci sono stufe accese. Se è vero, occorre riconoscere in qualche modo a quei contadini il valore del loro ruolo. Ma non è tutto: quei contadini conservano la memoria di quei monti, ne mantengono la cultura, ne praticano gli usi insegnandoli ai figli, ne tramandano le tradizioni; quanto valore restituiscono alla comunità in termini di patrimonio culturale?

Come riconoscergli anche questo ruolo? Un modo ci sarebbe: semplificargli la vita liberandoli dai mille adempimenti che li soffocano nella quotidiana conduzione della loro attività. Ma tutto ciò richiede maturazione e consapevolezza da parte delle amministrazioni locali e degli enti territoriali che, se da un lato riconoscono a parole il ruolo di presidio del territorio svolto dai contadini, non riescono poi a liberarli dal peso della burocrazia. Se c'è bisogno di costruire una stalla, che non sia il pretesto per una futura villetta, tutto si fa complicato o impossibile; lo stesso accade se c'è da tracciare una strada percorribile con mezzi agricoli; se c'è bisogno di attrezzare un piccolo caseificio o un laboratorio, gli adempimenti non si contano.

il monte Giarolo visto da un rustico a Vigoponzo / CG E allora torniamo al punto di partenza: o l'azienda agricola è una ricchezza e una risorsa per le aree di montagna o è solo un problema in più per chi considera quelle area terra di "nuova colonizzazione". O i contadini sono considerati i referenti del territorio, o lo diventano i residenti -- non gli "abitanti" -- e i villeggianti.

Tutto questo vale sempre: dove l'agricoltura è prevalente, ma anche dove è sviluppata un'intensa industria turistica, perché in queste aree si sfruttano i benefici sul territorio prodotti dalle attività agricole, senza le quali non ci sarebbe cura del territorio e non si potrebbero creare altri servizi ed economia locale. In queste aree, sull'agricoltura non ci vivono solo i contadini; ma, senza di loro, cosa sarebbe rimasto? Cosa resterebbe?


La comunità locale

La comunità locale qualche volta è considerata una categoria demografica o amministrativa. Ma se ne può dare anche una definizione gravida di conseguenze giuridiche, e considerare la comunità locale come la compresenza di chi ha abitato un luogo, di chi lo abita e di chi ne è ospite (ho la tentazione di aggiungere anche: e di chi lo abiterà).

Dall'impossibilità logica di dare rappresentanza alla compresenza delle generazioni, deriva l'indisponibilità giuridica del patrimonio e delle titolarità comunitarie, che possono essere consegnate di generazione in generazione e amministrate collettivamente, ma non appropriate, rinunciate, erose o cedute.

Il patrimonio e le titolarità di una comunità cessano quando l'ultimo degli abitanti di un luogo se ne è andato; fino a quel momento, fino a quando resta ancora qualcuno, anche una sola persona che può testimoniare la compresenza e la continuità ed esprimere un atto di consegna, patrimonio e titolarità comunitarie devono essere considerate indisponibili e intangibili.


Sabbia segnata

lavoro sui prati (presepe di Pentema) / MS Subito dopo le piene, quando l'acqua si ritira, in alcune aree di torrenti e rivi si accumulano grandi quantità di sabbia piuttosto fine. In passato si praticava l'uso di "segnare la sabbia". La prima persona che si recava nell'alveo e tracciava il proprio segno su quella sabbia ne diventava proprietaria e poteva poi tornare con calma a prenderla, caricandola sui tombarelli -- piccoli carri con le sponde adatti al trasporto di sabbia, terra e altro -- o trasportandola a dorso di mulo o a spalla con le corbe. Questo uso era praticato sia per il consumo proprio sia per il commercio. Dino ricordava che a Montoggio c'era gente che lo faceva di mestiere ancora nel periodo compreso fra le guerre e forse anche nell'immediato ultimo dopo guerra, nella seconda metà del secolo scorso. Così ricordava Dino Mangini di Montoggio e ancora lo tramandano Ettore Molini di Carsi in val Brevenna e Andrea Savio di Carsegli in alta valle Scrivia.


Metodo per sapere quanta gente abita ancora la montagna

In un giorno d'inverno, nel tardo pomeriggio, all'ora del tramonto, si sale in alto, in costa, dove si possono guardare dentro una valle i suoi paesi. E quando il sole si è infilato nell'orizzonte si contano le luci che si accendono una dopo l'altra, e si continua a contare fino a un'ora dopo il tramonto. Piancasale, 14 case, una luce; Fontanafredda, 11 case, 3 luci; Lònesi, 21 case, quattro luci; Sulmolino, 13 case, nessuna luce.

La luce e il fumo dal camino tradiscono la presenza degli abitanti: abitanti, non residenti. Risiede chi è iscritto in un registro: può esserci o non esserci, e a volte ci risiede solo per pagare meno imposte o per altri inganni; ma abita chi tiene accesa la luce durante l'inverno.

Speranze deluse / Giuseppe Pellizza da Volpedo Piani, progetti, interventi. Sono certo che sulla montagna negli ultimi venti anni sono stati più i consulenti dei contadini. Tutti pronti a "valorizzare", a "promuovere" il territorio, i suoi prodotti, la sua cultura, il paesaggio, le vocazioni... forse, sopra ogni cosa, il loro interesse professionale e il credito politico di chi li sostiene e con le loro parole e le loro carte si veste in pubblico. Poi -- terminati i progetti, pagati i consulenti -- risalitela la costa e ricominciate a contare: Piancasale, 14 case, nessuna luce; Fontanafredda, 11 case, 2 luci; Lònesi, 21 case, una luce; Sulmolino, 10 case (3 nel frattempo sono crollate), nessuna luce.

Ecco, potrebbe essere questo un metodo per misurare la validità delle proposte e delle azioni degli enti che dicono di volere "valorizzare" e "promuovere" la montagna: dopo alcuni anni, una sera d'inverno, si sale in alto e si contano le luci. Ce n'è qualcuna in più? Anche una sola?


Che cos'è la tradizione?

Tradizione è continuità nel tempo e trasmissione diretta che non ha subito interruzioni. Laddove è una riscoperta di cose dimenticate è improprio parlare di "tradizione": un piatto del quale si è persa la memoria pratica, riscoperto su un ricettario di pochi decenni o molti secoli fa, potremo forse definirlo "antico" o come si voglia, ma non "tradizionale". Parlo di "memoria pratica" perché la trasmissione di un sapere pratico, come quello necessario per la preparazione di un cibo, è refrattario alla carta scritta e non vive sui ricettari. I gesti, il ritmo, le pause, spesso anche le dosi, la raccolta e la stessa manipolazione degli ingredienti, così come la sequenza dei gesti e il loro significato (sociale, talora rituale o scaramantico) non si prestano a essere riprodotti da alcuna descrizione o ricetta, ma solo visti, condivisi, imitati, sperimentati. La ricetta scritta è l'ombra del prodotto o del piatto che racconta, ne offre la traccia ma non ne permette la riproduzione. Per questo è tradizionale ciò che viene "tradito", consegnato di persona in persona, di generazione in generazione. Dove il flusso delle informazioni e l'osservazione della pratica si interrompono, non è più lecito parlare di "tradizione": è altro.

"Tradizione" non riguarda la conservazione del passato e non ne implica la ripetizione, anche se questo è il significato che passa attraverso le parodie della pubblicità e delle sagre paesane. Il suo significato esprime il passaggio che avviene per consuetudine familiare o comunitaria, non rinvia all'immobilità, ma alla continuità, e pure alla possibilità di innovazione (nella continuità), perché non c'è ricetta che una figlia esegua precisamente come sua madre. E cercare di congelare il passato nella sua ripetizione scivolare immancabilmente nel sogno, fare della vita la sua caricatura, significa negare il valore della tradizione.

Sergio Rossi e Massimo Angelini

estratti da Parole per leggere luoghi / M Angelini, MC Basadonne, S Rossi -- Centro culturale
"Peppo Dachà" : Montoggio : 2004 a loro volta adattati da precedenti interventi


I segni di una cultura (Dove comincia l'Appennino) / redazione ; © autori -- <https://www.appennino4p.it/segni.htm> : 2005.02-