Pare che il gioco delle bocce risalga a molti secoli addietro. Sappiamo di certo che a Genova era assai praticato: a citarlo sono illustri artisti locali e foresti. Fra questi ci piace ricordare Charles Dickens il quale, nel 1843, racconta del suo soggiorno a Genova:
"Subito fuori della chiesa, gli uomini col berretto rosso in testa e la giacca sulle spalle (non se la mettono mai) giocavano alle bocce e compravano gli zuccherini. Quando cinque o sei di essi avevano finito una partita, entravano in chiesa, si segnavano con l'acqua santa, si inginocchiavano per un momento con una gamba, e poi uscivano di nuovo per fare un'altra partita a bocce. Sono abilissimi in questo passatempo, e sono usi giocare sulle vie e sulle straducole sassose e sul terreno meno adatto allo scopo, con la stessa precisione che se si trovassero davanti a una tavola da biliardo..."
Dickens, probabilmente, si riferisce a una chiesa del quartiere di Albaro — zona in cui soggiornò — ed è forse lì che questa gente giocava a bocce. Gli accenni al terreno e il periodo ci fanno capire che si trattava del gioco che venne poi definito libero, e cioè quello praticato sulle strade, sui piazzali o sul greto dei torrenti. L'unico che si praticava prima del gioco regolamentato.
Anche a Montoggio, come altrove, si giocava al libero e i luoghi più frequentati erano il piazzale della chiesa, quello del santuario delle Tre Fontane e i campi da bocce delle osterie. Si giocava inoltre sulle strade, allora sterrate. Il terreno sconnesso e pietroso richiedeva abilità e pratica, e buttezzi e buccè dovevano essere eseguiti con precisione se si voleva ottenere un buon risultato. Inoltre le difficoltà aumentavano quando il pallino veniva lanciato fra le radici degli alberi o, addirittura, l'albero stesso copriva la visuale, costringendo i giocatori a compiere ampi passi laterali per conquistare una posizione che garantisse almeno la visione del pallino. E poi, come detto, le bocciate dovevano essere indirizzate forzatamente sul bersaglio da colpire, perché il rimbalzo, su quei terreni irregolari e sconnessi, avrebbe quasi certamente procurato una deviazione della boccia e quindi il fallimento della bocciata. Si diceva "bezögna tiaghe intu muru, dunca a se sata" (occorre colpirla in pieno, altrimenti la si salta).
Le bocce erano in legno. Molto diffuse quelle di cabraccio — in realtà quebracho —, essenza arborea dalla quale si ricava un legno durissimo e dalla cui corteccia si estrae tannino per l'industria conciaria. Agli inizi del Novecento venne creato un primo regolamento e lentamente si avviò un'evoluzione che portò alla creazione di bocce sintetiche e di metallo e alla diffusione della specialità definita volo o più comunemente quadro.
In realtà le bocce di cabracciu erano le più diffuse e chi non poteva permettersi di comprarle — erano molti soprattutto sui nostri monti — ricorreva ad altri legni locali. Fabbricare una boccia non è cosa troppo complessa, soprattutto per giocare una partita senza tante pretese. Ciò significa che il ricorso a legni più o meno adatti, ma reperibili facilmente in loco, costituiva un forte risparmio. Si trattava poi di trovare un zona un tornitore.
Tuttavia, con la disponibilità propria del legno grezzo, non era neppure così difficile ricavarne una boccia a colpi di raspa: la manualità non mancava.Che la gente facesse le bocce come poteva ce lo hanno confermato anche i testimoni. Stefano Casazza Cicagnin ci ha raccontato di una sua gara a Rovegno. Lassù incontrò una squadra locale che giocava con bocce di legno molto leggere, al punto tale che, quando venivano colpite, saltavano via dal campo in modo inusuale e nell'accosto saltellavano molto più delle altre. Informatosi di quali bocce fossero mai quelle, così poco adatte rispetto alle altre, gli fu risposto che erano state costruite direttamente dagli stessi giocatori con legno proveniente dalle radici dell'erica (brugu), quella che usavano anche per fare le pipe. Sappiamo inoltre che c'è stato chi ha costruito le proprie bocce con il legno di castagno e chi se l'è fatte fare di legno santo (Guaiacum sanctum).
Già intorno al 1925 fanno la loro comparsa le bocce in ferro che, con il tempo, subiranno continui miglioramenti. È poi la volta di quelle sintetiche — le prime nel 1929 — in pratica ricavate da un impasto di segatura e colla. Questo tipo di bocce è comunque sopravvissuto, seppur con materiali diversi e ovviamente tecniche costruttive moderne. Ma è con le bocce in lega, che via via tutti hanno acquistato, che si è giunti alla perfezione attuale e alla possibilità di scegliere la boccia più adatta alla propria mano e alle proprie attitudini. Insomma, anche in questo sport l'evoluzione è stata notevole.
Semmai vale la pena di riflettere sul generale declino che ha afflitto il gioco delle bocce e sul fatto che in passato si giocava, magari con poche regole e con bocce rudimentali, ma si giocava dappertutto; oggi nelle stesse zone non si gioca quasi più e addirittura, per il quadro, sono spariti anche molti campi. Va registrato, tuttavia, il grande successo della pétanque [provenzale], che vive da anni la sua stagione migliore. Occorre precisare che, nonostante si tratti sempre di avvicinare una boccia a un pallino o da esso allontanarla, il gioco della pétanque è totalmente differente dal libero e dal volo. [...]
Il termine libero dà l'idea di un gioco senza troppe regole che si può giocare ovunque: più o meno era ed è così. Si può giocare in qualunque spiazzo con poche e semplici regole: si gioca con due bocce a testa; si parte da un punto segnato in precedenza; per accostare si devono compiere due passi in avanti o di lato; per bocciare se ne fanno tre. Il resto è tutto buono. Si può giocare in singolo o a coppie, terne ecc.
In realtà quel che si definisce libero era il gioco delle bocce più praticato, che però non aveva un nome particolare. Solo quando sono state introdotte le prime regole del quadro si è incominciato a chiamare libero il vecchio modo di giocare, che appunto, rispetto al gioco alla francese nel campo delimitato, era molto più libero. [...]
La lunghezza dei tiri era imprecisata, nel senso che non esisteva alcuna regola in proposito. Solitamente si trattava di tiri corti compresi tra gli otto e i quindici metri. Durante la partita la distanza poteva anche aumentare perché, se il pallino veniva spostato in avanti dalle bocce si continuava a giocare senza limiti massimi di distanza. Ovviamente il tiro si allungava o accorciava a seconda del tipo di attitudine di ciascuno. L'abilità era anche quella di impostare il gioco a favore delle proprie doti o, viceversa, contro quelle dell'avversario. C'era infatti chi era abilissimo nei tiri corti e chi lo era altrettanto sul lungo; chi bocciava bene e chi accostava meglio; chi sapeva buttezzare (alzare a candela una boccia per farle superare le parti più sconnesse di terreno) e chi preferiva, nel limite del possibile, strisciare le bocce. [...]
Il gioco delle bocce non era solo partite al libero o al quadro, ma anche altri giochi e singole scommesse. Tapadda, garicciu e quarantöttu erano specialità che si giocavano soprattutto in occasione delle feste patronali (a dire il vero la tapadda era oggetto di vere e proprie gare); i premi in palio erano piuttosto accattivanti e la gente partecipava numerosa. I più diffusi erano sicuramente tapadda e garicciu; meno il quarantöttu.
C'erano poi le scommesse sulle singole giocate, impossibili da citare a una a una. Ci si poteva sfidare su qualunque tiro e si scommetteva una sigaretta, un bicchiere di vino, oppure piccole somme di denaro che a volte non erano così piccole. In molti casi gli stessi vincitori delle gare mettevano in palio i premi vinti sfidandosi l'un l'altro a margine della competizione.
Altra cosa erano poi i giochi come a l'ostaja o a l'oste. [...] Nei momenti liberi la gente si trovava all'osteria per una partita a carte o a bocce, o semplicemente per bere un bicchiere di vino con gli amici. A volte un gruppo di persone — di solito almeno quattro — decideva di giocare al gioco dell'ostaja o all'oste. Ognuno aveva una sola boccia e il campo era la strada. A Montoggio si partiva spesso dal centro del paese, sulla carrozzabile per Laccio (ovviamente sterrata). Si tirava il pallino e ognuno cercava di accostare con la propria avvicinandosi il più possibile. Quando tutti avevano tirato si controllava quale era la boccia più lontana — a ciü gramma — e a chi l'aveva giocata toccava pagare una piccola cifra. Gianni Granara, il nostro testimone, ricorda che spesso si trattava di circa 20 centesimi. Per rendere l'idea, ci racconta che in quel periodo (purtroppo non specificato) con 75 centesimi si poteva comprare circa mezzo chilo di pane.
Una volta determinato chi doveva pagare si gettava in avanti il pallino per una nuova mano (tornata) e ogni volta a chi aveva giocato peggio toccava pagare i 20 centesimi. Arrivati sulla porta della prima osteria, il gruzzolo raccolto veniva impiegato per fermarsi a bere tutti insieme. Quindi si ripartiva allo stesso modo per l'osteria successiva. C'è da considerare che allora le strade erano praticamente disseminate di osterie e nel tratto Montoggio-Laccio, per esempio, se ne contavano almeno otto. Alla fine, tutti assieme, più o meno sobri, si tornava indietro.
Sergio Rossi
estratto e adattato dal libro Picciu e il libero: storia di un leggendario giocatore di bocce —
Centro culturale Peppo Dachà: Montoggio: 2007
che raccomandiamo per approfondire
Il Centro (tel. 339.8242698) organizza gare al libero per il recupero
del gioco tradizionale in collaborazione con la Società bocciofila Montoggio
fotografie della Società di mutuo soccorso di Belnome
Il libero e altri giochi di bocce = (Dove comincia l'Appennino) / redazione ; © autori — <https://www.appennino4p.it/bocce.htm> 2007.12 - 2008.01 -