Tra le musiche da ballo presenti nel repertorio da piffero, molte corrispondono a danze tuttora eseguite, anche se spesso modificatesi nel tempo e negli usi dei diversi paesi delle Quattro Province; altre si sono perdute del tutto, o quasi.
Il "liscio da piffero" comprende valzer, mazurche e polche; l'esecuzione dei primi due nella danza è simile a quella di molte altre regioni [video da 0'45" in poi], mentre la polca è eseguita con il caratteristico passo "a saltini", contraddistinto dall'accento sul primo tempo, corrispondente a un leggero movimento del corpo verso il basso [video da 5'00" in poi]. Questo passo è osservabile, in modo più o meno evidente, in ballerini anziani di tutte le Quattro Province; a Campassi se ne osserva una curiosa variante con spostamento del piede scarico verso l'esterno e indietro. In alcuni paesi la polca a saltini è nota anche con altri nomi quali "busallina" o "polca all'antica".
Il passo della polca a saltini è affine a quello delle "gighe", dai quali appare in qualche modo derivato. Giga o ciga è il nome generico dato ai balli più antichi di gruppo, preesistenti all'arrivo del liscio. Nelle feste da piffero odierne le gighe generalmente eseguite sono una serie di monferrine e alessandrine, di solito conclusa da una piana (che tutte insieme formano un "giro di monferrine"); nonché la giga a due [video da 1'24" in poi] e la giga a quattro. Queste ultime hanno in parte mantenuto la loro funzione di esibizione da parte di ballerini esperti, anche se in modo meno accentuato e più giocoso rispetto al contesto sociale passato, che poteva dare a questi momenti un'importanza molto maggiore.
"È morto mio zio Carlo di anni 87 [...] che per agilità di ballerino ballava nelle antiche danze con una pinta di vino in testa. [...] Anche i nostri Avi erano ferventi ballerini, allora si ballava al suono del piffero e della cornamusa (pinfio e musa), la Monferrina, la Lessandrina, la Cigona, la Rotonda (ciga), il Pelligordino, il ballo era più che altro un gioco di abilità, sveltezza e cortesia. Conobbi alcuno di quei suonatori (Draghin, L'Andía, L'Arsúa, il Cian), che agitando la persona, battendo il tempo con il piede, e colle gonfie gote facevano uscire da quei primitivi strumenti le vibranti note che erano le delizie degli antichi giovanotti" [diario di don Giovanni Carraro di Torriglia (1876-1947), riportato da Mauro Casale in "La magnifica comunità di Torriglia" e "Patranico"]
Alessandrine e monferrine, come vengono oggi ballate e insegnate, sono indistinguibili nei passi, e presentano differenze solo musicali [video da 0'40" in poi]. Sembra probabile però che un tempo fossero distinte anche nella danza. Al Connio di Carrega, l'alessandrina viene ballata a coppia chiusa, eseguendo un giro con il passo di polca a saltini al posto della passeggiata in cerchio; in questo modo, anziché scambiarsi incontrando in successione tutti i ballerini del sesso opposto presenti nel cerchio, le coppie rimangono fisse. Questo uso è documentato anche in filmati raccolti negli anni Settanta in val Curone e valle Staffora; tra i ballerini più giovani è oggi mantenuto solo per alcuni brani, chiamati anche "gighe di Bobbio", tra i quali "Bala ghidon". La monferrina (o monfrina) invece è danzata al Connio da un uomo e due donne: durante la prima frase musicale le ballerine passano alternativamente sotto le braccia alzate dell'uomo, mentre i balletti vengono sempre eseguiti tutti insieme.
La piana è oggi eseguita con un cerchio di ballerini che ripetutamente (quando sono "invitati" dal suono del piffero che, al termine della strofa, si sofferma su una nota alta) convergono al centro sollevando le braccia e lanciando un grido [video da 6'40" in poi]; questa figura non faceva parte dell'esecuzione diffusa nelle alte valli Curone e Staffora fino ad alcuni decenni fa ("qui a Negruzzo non ci si ammucchia come le pecore", ha riferito Berto Brignoli). La strofa al Connio è ballata in coppia invece che in cerchio rivolti verso il centro. Il cerchio che si tiene per mano potrebbe essere legato al ballo ligure chiamato "rotonda" (riunda), che la memoria di don Carraro riferisce essere una giga; secondo Piersantelli riunda sarebbe sinonimo popolare di ferandoula, "una danza a catena, al suono di pifferi o strumenti simili, ballata da giovani e vecchi, peraltro tenendo una gamba sollevata! A Genova era la danza tradizionale all'apertura del Carnevale il 17 gennaio, quando venivano accesi grandi falò nelle piazze" [Journal of the International folk music council. 2: 1950. p 19-22]. Annalisa Scarsellini descrive anche la cigona ligure, che si ritrovava vicino a Varzi col nome di röga (ruota).
Il perigordino (peligurdin), di cui il repertorio da piffero conserva due brani, è oggi praticamente scomparso, ma è ricordato come comune nella prima metà del Novecento in val Borbera, val Fontanabuona, val Bisagno e valle Scrivia. Un'esecuzione spontanea è stata documentata nel 2006: due uomini, ciascuno dei quali tiene per mano due donne, si fronteggiano, e fanno passare le donne alternatamente sotto l'arco formato dalle braccia alzate. Poi si avvicinano al terzetto opposto e scendono verso terra come accucciandosi, infine si alzano e si riallontanano. Alcune di queste figure corrispondono alla prima parte del perigordino eseguito in funzione di spettacolo dai gruppi folkloristici Città di Genova e Amixi de Boggiasco. Il gruppo folkloristico Valle Staffora di Andrea Sala esegue invece il perigurdino a coppia fissa: inizialmente l'uomo fa girare continuamente la donna sotto il braccio alzato, poi si eseguono i due balletti sul posto. Secondo altre testimonianze raccolte in valle Scrivia e val Bisagno, il perigurdino si ballava da soli, con movimenti come l'accucciarsi e il saltare. In effetti, le diverse descrizioni rendono difficile ricondurre il perigordino ad un'unica danza e ad un'unica melodia.
Il gruppo folkloristico Valle Staffora esegue anche una presunta bisagna, danza anch'essa non più in uso, a cui corrisponde una sola suonata da piffero oggi tramandata. La bisagna, il cui nome sembra derivare chiaramente dalla val Bisagno nell'entroterra di Genova, è nominata anche nella ballata del Draghin diffusa in val Trebbia fra Ottocento e Novecento. In una frazione di Ferriere , tra val d'Aveto e val Nure, due uomini anziani, filmati da Franco Guglielmetti, eseguivano una bisagna fino agli anni Novanta, e al termine del maggio di Ferriere viene ballata una "bisagna" caratterizzata dall'uso di bastoni [foto].
Origine geografica ha anche il nome della sestrina, danza completamente perduta che è oggi eseguita con funzione di accompagnamento degli spostamenti da un'aia all'altra durante le feste di paese o (a Cicogni e a Marsaglia) il canto del maggio. La località corrispondente potrebbe essere Sestri Levante oppure la valle del torrente Sestri o Siestri, nell'alta Fontanabuona, non lontana dalla val Bisagno.
La corrente (curenta) è oggi quasi scomparsa sia nelle musiche che nei balli (la Curenta dl'azu mort è eseguita occasionalmente da Bani), ma era ancora suonata pochi decenni fa da violinisti dell'Oltrepò pavese. Scarsellini riporta la descrizione di due informatori delle valli Staffora e Boreca. Un testimone di Montebore ricorda che era in voga verso la metà del Novecento, e che alla fiera di Varzi un uomo di Cantalupo (val Borbera) chiese a Jacmon: "quantu ti vö per fame na curenta?", alché il grande pifferaio rispose "prendi una bottiglia di vino buono e siamo a posto"; ma qui curenta potrebbe significare solo genericamente danza antica. Probabilmente la corrente era diffusa anche nella pianura piemontese: oggi è rimasta come il ballo più tipico delle valli occitane in provincia di Cuneo.
Un discorso a parte merita la povera donna, associata alla festa di carnevale [Ferrari in Chi nasce mulo..., Musa, 2007], ma in qualche occasione ballata anche in altri momenti e da più coppie. Le modalità esecutive oggi codificate nel carnevale di Cegni presentavano in passato qualche variante, documentata nelle alte valli Curone e Grue, con movimenti più esplicitamente erotici, oppure scherzosi (tutti i ballerini si gettano a terra uno sull'altro). Questo ballo è attualmente eseguito a Cegni [video da 3'30" in poi] e in alta val Curone, perlopiù a carnevale, nonché al Connio di Carrega.
Infine citiamo due usanze di origine recente che, pur essendo eseguite in modi scherzosi e goffi non consolidati in una vera e propria danza, sono in qualche modo anch'esse tradizionali, in quanto vengono eseguite con grande partecipazione ogni anno nella stessa occasione. La prima è il "leva levon", un cerchio di ballerini che al ritmo della polca omonima si muovono agitandosi, lanciando in avanti le gambe, battendo la mano aperta sul pavimento o anche gettandosi a terra: il nome viene dall'occasione in cui è stata inventata la danza, la festa organizzata in sostituzione di quella dei coscritti a Santa Maria di Bobbio [Gnoli in Chi nasce mulo..., Musa, 2007]. La seconda, originatasi in un altro paese dell'alta valle Staffora, è oggi eseguita dai ragazzi di Casale nelle fasi avanzate della festa patronale del 10 agosto, per la quale hanno fino allora lavorato come camerieri, cuochi e inservienti: dopo qualche giro in un vorticoso cerchio, la strofa della polca Catalana si interrompe bruscamente, alché i "ballerini" si lanciano uno sull'altro sostenendo uno di loro più in alto degli altri, e cercando di rimanere tutti fermi nell'esatta posizione in cui si trovano in quel momento: dopodiché comincia una nuova strofa, e così via.
Claudio Cacco e Ilaria Demori, Claudio Gnoli, Fabio Paveto
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Le danze da piffero tra passato e presente = (Dove comincia l'Appennino) / redazione ; © autori -- <https://www.appennino4p.it/danze2.htm> : 2007.05 - 2009.08 -