Sentivo la mia terra vibrare di suoni:
era il mio cuore
(F De André e G Bentivoglio, Il suonatore Jones)
I dialetti delle Quattro Province usano fonemi diversi fra loro e appartengono a diverse aree linguistiche: principalmente quella ligure, ma nelle medio-basse valli Curone, Staffora, Tidone e Trebbia anche quella lombarda ed emiliana. Perciò, per trascriverli abbiamo bisogno di una grafia generale capace di rappresentare i suoni di qualsiasi dialetto italiano settentrionale, che sia precisa ma al contempo non si discosti molto dalle abitudini dell'italiano. Le pubblicazioni in dialetto, quali le raccolte di poeti locali e i dizionari, non adottano infatti ancora un sistema unico e coerente, e rendono gli stessi suoni in una grande varietà di modi.
In particolare, anche in accordo con le scelte di Edward Neill, di Massimo Angelini e di Conrad Montpetit, non utilizziamo la grafia storica del genovese, consolidata ma assai peculiare e lontana dalla fonetica; adottiamo invece una grafia vicina al Sistema di trascrizione semplificato secondo la grafia italiana di Glauco Sanga [Rivista italiana di dialettologia, 1: 1977, p. 167-175; 3-4: 1979-1980, p. 213-269], da cui ci discostiamo quasi solo per l'uso alla ligure di x, z invece di ṡg, ṡ e il risparmio di accenti gravi su e, o. Scelte simili sono state fatte di recente per il bolognese.
(Il sistema vigente è modificato rispetto a quello adottato in questo sito fino al 2006, in particolare nel modo di distinguere vocali chiuse e aperte.)
La pronuncia di b, d, f, l, m, p, r, t, v è la stessa dell'italiano.
ch, gh sono, come in italiano, le velari c, g quando precedono e, i (ad es. Türchiŋ "Turchino", arivaghe "arrivarci"); la stessa grafia è adottata in fine di parola: per cui poch "poco" e arvegh "cespuglio" sono pronunciati con finale velare, ma veg "vecchio" con finale palatale.
ci, gi davanti a a, o, ö, u, ü si pronunciano, sempre in modo analogo all'italiano, come affricate palatali: ciamà "chiamare", gioja "ghiaia", ecc.
n diventa velare (cioè pronunciata con la parte posteriore della lingua) per assimilazione davanti a g, c, l (anca "anche", anlot "agnolotti"); in parole liguri è velare anche in posizione finale e intervocalica: in quest'ultimo caso è scritta ŋ (o n- secondo l'uso ligure e piemontese): lüŋa "luna".
gn è una nasale palatale come in italiano: guadagnà "guadagnare".
Il gruppo gli davanti a vocale è, come in italiano, la laterale palatale; in Oltrepò tende però ad essere pronunciata /li/; è presente quasi solo in parole italiane, mentre nei dialetti diventa j o gg.
j è la versione semivocalica di i quando si trovi fra due vocali, es. zbajà "sbagliare" o a inizio di parola, es. Jacmon "Giacomone"; in altre posizioni anche la semivocale si scrive i: fiö "figlio".
s è sempre sorda anche quando intervocalica, ad es. in pisarei "gnocchetti". La corrispondente sonora è resa con z, ad es. fazö́ "fagioli", méz "mese", zbajà "sbagliare", Zena "Genova".
sc, come in italiano, rappresenta i due suoni di s e c velare se è seguita da a, o, u, come in scabia "bosco rado"; altrimenti è la fricativa palatale sorda, come in Lisciandria "Alessandria", scpuzà "sposare". In stc (che alcuni scrivono s-c) invece i suoni s e c si pronunciano separati, come in stciupà "scoppiare"; similmente succede con sctc, ad esempio nel dagliotto biésctce "animali".
x, che ricorre solo in parole liguri, è la fricativa palatale sonora, come nel francese jeu: nuxe "noce"; la trascrizione con x è usata largamente in Liguria e si trova anche in toponimi, ad esempio Vaxe presso Bargagli.
ð, che ricorre solo in alcune località della val Trebbia, è la fricativa dentale sonora, simile all'inglese the: es. a Ottone ðögo "gioco", ða "già" (in Lunigiana ricorre anche la sorda, come nell'inglese thing, che renderemmo con ŧ o th; a Rossiglione e altrove anche le affricate ts, dz: puttsu "pozzo"). ç, che ricorrerebbe a Torriglia, è la fricativa palatale sorda: -açu "-asco".
Le vocali presenti nelle varie località delle Quattro Province si possono schematizzare nel riquadro seguente:
chiuse | ü | i | u | ||
medie | ö | e | ȧ | ë | o |
aperte | œ | e | a | å | o |
anteriori arrotondate |
anteriori | centrali | posteriori | posteriori arrotondate |
Il riquadro è disposto in modo simile al trapezio fonetico delle vocali: dall'alto in basso i suoni diventano progressivamente più aperti, mentre da sinistra a destra passano da anteriori a posteriori; le due colonne esterne rappresentano le varianti labializzate (arrotondate) dei rispettivi suoni posti nelle colonne immediatamente più interne.
In generale, le vocali sovrastate dai due puntini (umlaut) sono pronunciate in posizione invertita rispetto alle corrispondenti senza puntini, cioè posteriori se normalmente sono anteriori (ë), e anteriori se normalmente sono posteriori (ö, ü).
Nella riga più bassa si trovano le tre principali vocali aperte e, a, o; ancora più aperta è la ê che si incontra verso Genova: zughêmmu "giochiamo". Come succede in italiano, queste lettere si pronunciano però più chiuse (cioè quasi medie) quando ricorrono in sillabe non accentate (compresi i monosillabi clitici): levà "togliere", bargnö́ "prugne selvatiche"; nonché davanti alle nasali n, m: Zena "Genova", lona "luna".
Nei dialetti pavesi e piacentini, quindi a Volpedo, Godiasco, Borgoratto, Borgonovo val Tidone, Travo, Bobbio ecc., la a non accentata o davanti a m, n diventa una vocale ancora più chiusa, ȧ , simile a quella dell'inglese cup.
In parte dell'Oltrepò e nel Piacentino, come in piemontese, si incontra anche un suono simile più stretto e posteriore, ë: casët "cassetto". Anche a ha una variante più posteriore tendente ad o, å, presente ad esempio a Cosola: ghitåra "chitarra".
Le anteriori arrotondate ü, ö si pronunciano come in tedesco: tüti "tutti", möja "terreno acquitrinoso". In qualche caso può essere distinguibile una versione più aperta, , come nel francese coeur.
i, u sono come in italiano, mentre le loro varianti î, û, usate verso l'Oltrepò, sono un po' più basse (Sanga i̊, ů), tendenti rispettivamente a e, o strette: in bassa val Curone andûma "andiamo".
Nella zona di Bobbio le vocali davanti a nasale sono nasalizzate: stãmpà "inventare", cõntà "contare" (anche con caduta completa della nasale: a Santa Maria di Bobbio stãpà).
L'accento cade di regola sulla penultima sillaba, e sull'ultima se questa finisce per consonante (Carlon) o dittongo (Grizei). Nei casi diversi da tale regola, la vocale accentata è sempre marcata:
chiuse | ǘ | í | ú | ||
medie | ö́ | é | ȧ́ | ë́ | ó |
aperte | œ̀ | è | à | å̀ | ò |
anteriori arrotondate |
anteriori | centrali | posteriori | posteriori arrotondate |
L'accento può essere marcato anche per distinguere parole di significato diverso con pronuncia uguale: mé "come", me "mio"; é "è", e "e"; chí "qui", chi "chi"; à "ha", a "a".
Nei dittonghi ai, ei, oi, öi, au, eu, ou l'accento cade sempre sulla vocale più aperta, cioè a, e, o, ö. Lo stesso succede nelle sillabe con i, u semivocaliche, come pian "piano", a meno che sia segnato un altro accento: vía "via".
Vocali doppie, come quelle derivanti dalla caduta di una r o l intervocalica nel genovese, sono pronunciate molto lunghe: scaa "scala", daa "dalla". In alcuni dialetti liguri si distinguono vocali allungate ma non doppie, che si possono allora segnare ā, ē ecc. In Oltrepò le sillabe accentate sono pronunciate particolarmente lunghe quando parole terminanti per consonante si trovano al termine della frase: ad esempio, in mez e mez "così così" è pronunciata molto lunga solo l'ultima parola.
«Gh'aivu na bela cumba ch'a l'é xöa föa de ca, gianca cum'a neje ch'a dezlengue a Cian da Sa (Duv'a l'é, duv'a l'é?!), che l'an vursciüa vedde cegà l'ae a stu cazà speita cume l'aigua ch'a derüa zü p'u rià...» (Nu ghe n'é, nu ghe n'é nu ghe n'é!...) «Cau u me zuenottu, ve porta miga na zmangiaxun?... «Vegnu daa Ca du Rattu, ch'u magun u zliga i pe, «Chi de cumbe d'atri nu n'é vegnüe, nu se n'é
pozè, A l'é xöà, a l'é xöà a cumba gianca, «Vui nu vuriesci dàmela sta cumba da majà, «Mijè che sta cumba bella a sta de lungu
a barbacíu: «A tegniò a dindanase sutt'a n'angiou de meigranà «Zuenu ch'ei ben parlou nte sta sejaŋa de frevà, A l'é xöà, a l'é xöà a cumba
gianca, Duv'a l'é, duv'a l'é ch'a ne s'ascunde? A l'é xöà, a l'é xöà a cumba gianca, ...Cumba cumbetta, beccu de sea, |
«Avevo una bella colomba che è volata fuori casa, bianca come la neve che si scioglie a Pian del Sale (Dov'è, dov'è?!) che l'hanno vista piegare le ali verso questo casale veloce come l'acqua che precipita giù dal rio...» (Non ce n'è, non ce n'è non ce n'è!...) «Caro il mio giovanotto, non vi porta mica un qualche prurito?... «Vengo dalla Casa del Topo, che l'angoscia slega i piedi, «Qui di colombe d'altri non ne sono venute, non se ne sono posate, È volata, è volata la colomba bianca, «Voi non vorreste darmela questa colomba da maritare, «Guardate che questa bella colomba è abituata a cantare
in allegria: «La terrò a dondolarsi sotto una pergola di melograni «Giovane che avete ben parlato in questa sera di febbraio, È volata, è volata la colomba bianca, Dov'è, dov'è che ci si nasconde? È volata, è volata la colomba bianca, ...Colomba colombina, becco di seta, |
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