La storia della Banda di Zavattarello si perde ormai nella notte di tempi. Le testimonianze raccolte dai pochi anziani ormai rimasti, che allora erano bambini, raccontano di un gruppo di uomini che suonavano durante le feste, i funerali e le ricorrenze in genere. "Io ho sentito qualche volta suonare ma mica troppo, mi ricordo i tromboni..."
Fonti autorevoli dicono che la Banda di Zavattarello era nata sotto forma di Società di Mutuo Soccorso, nel lontano 1889. Il nipote di uno dei suonatori si ricorda il libretto in cui suo nonno annotava le presenze. L'anno di scioglimento della Banda si deve ricondurre al 1922.
Le società di mutuo soccorso sono nate, alla fine del Settecento, come associazioni volontarie con lo scopo di migliorare le condizioni materiali e morali dei ceti lavoratori. Tali società si fondavano sulla mutualità, sulla solidarietà ed erano strettamente legate al territorio in cui nascevano. In particolare cercavano di unire le forze dei lavoratori al fine di raggiungere obiettivi di promozione economica e sociale, attraverso l'istruzione, il mutualismo in caso di invalidità e la previdenza. Gli statuti delle società si proposero così anche altri scopi: il sostegno creditizio agli associati, la fornitura di materie prime, la vendita ai soci di prodotti di prima necessità al prezzo di costo, la costituzione di magazzini sociali. Nel Dopoguerra persero pian piano la loro funzione originaria, fino ad assimilarsi alle associazioni ricreative culturali che organizzavano il tempo libero dei soci.
Unendo le varie testimonianze, i componenti della Banda risultano essere stati:
"Chissà dove sono andati a finire quei tromboni lì? Suonavano dei tromboni tanto grossi..."
Racconta Laura: «Della Banda di Zavattarello mi ricordo Cesare Trazi e sai perché? Lui ogni sera, verso il tramonto, usciva di casa con la sua tromba sotto il braccio, attraversava la strada, dove c'era il monumento dei caduti (dove c'è ora la farmacia), si metteva tra il monumento e la casa vecchia di Truffi, guardava il castello e suonava il silenzio. È un ricordo che ho impresso nel cuore.»
Si pensa che gli strumenti ed i relativi berretti siano stati trafugati durante la seconda guerra mondiale, poiché erano depositati presso il Comune di Zavattarello.
Ricordo di Beppe Frassone: «Mio nonno, Angelo Frassone detto Gilon ad Frason, nacque a Crociglia il 15 maggio del 1878 e morì a Voghera l'8 aprile del 1964. Fu uno dei componenti della Banda di Zavattarello come suonatore di bombardino. La sua passione musicale iniziò durante il servizio militare di leva svolto in Sicilia, poiché fu coinvolto nella banda del reggimento, la quale partecipò ad importanti manifestazioni e grandi concerti. Ricordava spesso le partiture di opere che erano state il cavallo di battaglia della banda: dal "Nabucco" ai "Vespri siciliani", dal "Trovatore" al "Barbiere di Siviglia", passando per tante altre opere soprattutto di Verdi e di Rossini.
Dopo il ritorno da militare continuò a suonare, portando il suo apporto alla Banda di Zavattarello. Un desiderio particolare che sempre espresse fu quello di essere accompagnato al cimitero dal suono di una banda poiché si ricordava come con la banda del suo reggimento venisse chiamata ad accompagnare i funerali (tipica tradizione delle terre del Sud Italia). Per uno strano gioco del destino, il giorno del suo funerale furono presenti ad accompagnarlo ben due bande, una che proveniva da Retorbido e l'altra da Borgonovo. Così, il "bombardino" della Banda di Zavattarello ebbe l'onore di avere un accompagnamento degno di un direttore d'orchestra.»
"Nel territorio dell'Oltrepò pavese, come in altre zone della pianura padana, nei primi decenni del Novecento ci fu una intensa fioritura di piccole orchestrine d'archi, a metà strada tra il popolare ed il colto, il cui repertorio passò velocemente dalle musiche tradizionali (giga, monferrina, bisagna, ecc.) ai nuovi balli lisci. Le orchestrine migliori erano formate da due-tre violini, due flauti, viola, violoncello e basso. Sovente capitava però che la formazione si sintetizzava in soli due violini, una chitarra (spesso con i bassi volanti) e violone (bassetto a tre corde). Mentre in altri casi poteva essere ridotta al minimo, comprendendo solo il violino e la chitarra oppure il violino e il viulon." [La tradizione violinistica nell'Oltrepò pavese / a cura di Giuliano Grasso e Aurelio Citelli]
I musicisti di inizio secolo come Pierino Comaschi e Luigi Bonini furono i depositari di antiche danze collinari come la bisagna, la giga, la curenta, le quali successivamente vennero soppiantate dai "balli lisci". I suonatori spesso svolgevano, oltre all'attività di musicista, anche altri mestieri come il sarto, il barbiere, il contadino o il falegname. La maggior parte di loro erano strumentisti autodidatti, la cui passione e tecnica era stata tramandata loro dal padre o da altri musicisti del paese.
L'orchestrina violinistica di Zavattarello era formata da:
Intervista a Pierino Comaschi "el Sonadù" tratta da "La tradizione violinistica nell'Oltrepò Pavese", cit.: «Avevamo l'orchestrina: due violini, contrabbasso (viulon), viola d'accompagnamento, il violoncello e la chitarra. Il basso era a tre corde, poi ne abbiamo preso uno a quattro. La chitarra era da sei a nove corde (con tre bassi volanti). Io suonavo un po' tutto: polca, mazurca e vals, bisogna, giga e cruenta. Erano i balli di una volta, che dopo non li hanno più suonati.
Io piantavo il ballo pubblico e poi si suonava. Tutti i paesi facevano così. Non c'erano mica le sale da ballo come adesso, facevamo tutto col ballo pubblico. Si alzavano di notte per venirlo a prendere. Tiravamo una corda, fermavano quelli che ballavano e si facevano dare due soldi. Quando finiva la suonata, tiravamo la corda e non potevano più passare lì, dovevano passare qui e noi prendevamo i soldi... Prima si faceva alla fine di ogni ballo, ma poi era una cosa che seccava e allora la facevamo ogni cinque balli.
Mi ha insegnato mio papà, poi ho imparato da solo. Mio papà era un suonatore che suonava più ad orecchio che a musica... Prima mio papà mi ha fatto un chitarrino, avevo quattro o cinque anni e quando suonava con la sua orchestra io gli andavo dietro. Lui suonava ed io suonavo anch'io. Ho imparato così. A otto anni sono andato vicino a Voghera a fare il carnevale, avevo un violino piccolo. "Sono arrivati i suonatori, sono arrivati i suonatori!" "E dove sono questi suonatori?" Eravamo io e mio papà... e mio papà dice "e questo non è mica un suonatore?!" "Cosa può suonare quello lì che non è ancora nato?!" Ho preso in mano il violino, caro mio! Qualunque cosa volevano io la suonavo... e avevo otto anni! Io ho suonato un po' tutti gli strumenti a corde.
Ma ricord che s'eri un fiö', gh'evi vot an e ndevi in gir a sunà, e i impareva dagli altri suonatori vecchi... Gh'a diceva cul me papà: "Digh che la faga ncora". E lu la feva, e la feva nca mì, e me la scapeva pü!»
Racconta Anita, figlia di Pierino: "Mio padre ha iniziato a suonare da bambino, con suo padre (Pipò) e con il papà di Sarchi, che era anche lui musicista. Lui suonava il violino, il contrabbasso (il viulon), il mandolino, l'arpetta, ma la sua passione era per la sua chitarra con i bassi volanti. Era un musicista eclettico. Lui è sempre andato in giro a suonare, andava sul piacentino, nei paesi qui intorno ma non so con chi suonasse di preciso perché lui partiva da solo da Zavattarello, con il suo viulon sul carusen [il sidecar], partiva..."
Fu attraverso i "balli pubblici" o "a palchetto" che le orchestrine violinistiche si fecero conoscere e divulgarono i valzer, le polche e le mazurche apprese ad orecchio dai suonatori delle moderne orchestre di pianura.
Racconta Anita: «Mio padre aveva il ballo pubblico che era una struttura con tutte le assi in rotondo, in mezzo un palo grosso, un telone per coprire il tutto e le transenne tutte intorno alla pista. Quando c'era tanta gente facevano il carè, ossia le coppie passavano dietro al palco dell'orchestra, c'era uno all'entrata della pista che contava un tot di ballerini che potevano entrare perché se erano troppi non riuscivano a ballare e dall'altra uscita c'era chi ritirava i soldi.»
L'orchestra si sciolse dopo la seconda guerra mondiale, quando diventarono di moda balli come il cha cha cha, il twist, e la maggior parte dei giovani dovettero abbandonare il paese per trovarsi un impiego nelle fabbriche in pianura, non avevano più il pubblico e smisero di suonare insieme. Purtroppo la tradizione violinistica locale non fu portata avanti da nessuno, nessuno ereditò la tecnica e la passione per quel tipo di musica. Racconta sempre Anita: «C'era ancora mio nonno e siccome la musica era una tradizione di famiglia, voleva che anche i suoi nipoti suonassero, ma nessuno imparò... Ricordo che ripeteva loro: Pusíbil che abi mia l'urigia?!...».
Intervista a Ernesto "Luigi" Bonini tratta da "La Tradizione violinistica nell'Oltrepò pavese", cit.: «Ho cominciato a diciassette o diciotto anni, ma poi sono andato a militare. Dopo abbiamo fatto l'orchestra con due-tre violini, un flauto, un'armonica, la chitarra e il contrabbasso. Era un bel concerto! Si andava dappertutto, non si perdeva una festa. La musica me l'ha insegnata un ciabattino che era un musicista, suonava la cornetta, ha fatto sette anni nella banda militare e poi ha suonato in quella di Zavattarello... Andavamo dappertutto: da Zavattarello a Varzi, Romagnese, Sant'Albano, Calghera, Torre degli Alberi, Fortunago...»
Racconta Gianni Bonini, nipote di Gigen: «La passione per il violino in mio zio è nata in maniera singolare: il papà di Gigi e lo zio Cecco, quando andavano a raccogliere il granturco, si erano accorti che Gigi non lavorava e s'imboscava tra le canne delle pannocchie e suonava con un legnetto un malgass, cioè una canna di granturco, sfruttandone una cavità i cui bordi venivano sfregati come se fossero corde, da un altro pezzo di malgass, riuscendo a produrre dei suoni che nella sua fantasia si avvicinavano molto a quelli dei violini. Si esercitava fino a che non riusciva a ottenere dei suoni sempre più delicati. Nel vederlo, il fratello maggiore decise che forse sarebbe stato il caso di mandarlo a lezione di violino a Calghera da Sarchi, un violinista "colto". E così fece nel 1930. Dopo che ha imparato, ha continuato a fare il contadino e il barbiere, tra un lavoro nei campi e un taglio di capelli trovava anche il tempo di provare.
Suonavano nelle feste e ricorrenze, in particolare quella del Carnevale che durava tre giorni. Il primo giorno si svolgeva a Zavattarello, il secondo giorno a Crociglia mentre il terzo si andava alla Gera ossia Bernasio, Sabbioni e Molino d'Invidia. In quei giorni di festa la gente metteva i tavoli fuori dall'uscio di casa, i suonatori passavano per tutto il paese e ogni suonata corrispondeva ad un bicchiere di vino e una fetta di salame o di formaggio come ricompensa.
Il Carnevale a Zavattarello era una festa, ogni paese aveva la sua compagnia. Suonavano dove li chiamavano, alle feste di paese, soprattutto a Carnevale... C'era questa tradizione che al pomeriggio Zavattarello, Crociglia e Moline si scambiavano le compagnie, si mascheravano, passavano tutte le case per bere e mangiare, ogni compagnia aveva dietro i propri suonatori. Si facevano tre giorni e alla sera ballavano, qui a Zavattarello e a Crociglia. Tutti erano via ma il Carnevale era sacro e così tutti tornavano a casa. Ma l'ultimo giorno a mezzanotte in punto bisogna ritirarsi perché cominciava la quaresima.»
La Vecchia Stirpe fu l'ultima orchestra di Zavattarello del Novecento, nata dai pochi vecchi suonatori tradizionali rimasti.
Racconta Benito: «Io sono venuto a Zavattarello nel 1954, ma non c'era più niente, c'era solo Comaschi che organizzava qualche festa, l'ho visto suonare la chitarra due volte. Lui suonava anche il mandolino, e siccome io avevo un mandolino che mi avevano regalato quando ero un bambino, lui mi ha insegnato le prime musiche ad orecchio, non la musica con gli spartiti. Lui ci teneva a dire che: "il primo maestro di Benito sono stato io!". Infatti è vero, è stato grazie a lui che mi ha fatto nascere la voglia di suonare, ci deve essere qualcuno che ti sprona, almeno all'inizio.
Nel 1977 allora andava forte il liscio, una sera ci siamo trovati al bar Sport, noi eravamo una compagnia che ci trovavamo sempre, c'era Pierino che era il più vecchio, poteva essere mio padre ma eravamo sempre insieme, io, lui e Carluccio. "Eh madona, ma ades i metan su tüti di urchestr, ma nu síman mia bon di far juna?!". Detto fatto.
Dopo una settimana torno a Zavattarello, vado al bar e mi dicono che erano già pronti per fare qualcosa. Dovevamo provare un po', così siamo andati a casa mia. Carluccio e Pierino suonavano, io cominciavo a muovermi un po'. La settimana dopo torno su il venerdì sera dopo cena da Milano (lavoravo lì) e trovo una baraonda in piazza, gente che suona, erano tutti sui gradini del municipio, e mi urlano "Va a tö il mandulen!". Quella sera in più c'era Tunin [Antonio Del Vago], bottiglie da tutte le parti, insomma una bella festa.
Il giorno dopo andammo a provare nella sala del cinema, erano aperte tutte le porte così arrivarono tutte le persone del paese a sentirci. Mi ricordo che mi bloccai, fu il mio primo impatto con il pubblico.»
Quella sera come prima formazione della Vecchia Stirpe c'erano:
Subito dopo entrò Gianni Novara alla chitarra. Successivamente si avvicendarono vari musicisti nella compagine, il maestro di basso di Benito, Giancarlo Disnan che rimase fino al 1981, il quale venne poi sostituito da Piero Rovati di Montù Beccaria. Anche Alberto poco dopo se ne andò e al suo posto intervenne Giacomo Lughi "Barabit". Negli anni Ottanta si unì al complesso Livio Camilli di Siziano che suonava il saxofono, il quale aveva una casa in affitto a Zavattarello. Comunque la formazione iniziale fu la più sentita poiché composta per intero da suonatori di Zavattarello.
Racconta Gianni: «Era proprio questo il bello, tutte persone del paese che suonavano... La gente veniva a vederci anche per la curiosità di vedere l'orchestra di Zavattarello... Era bello suonare tutti insieme, le prove erano divertenti, mi ricordo Pierino che quando sbagliavamo e non andavamo a tempo, lui si arrabbiava, metteva via la chitarra nella custodia, la chiudeva e se ne andava... La sera dopo era ancora lì a provare con noi... Anche da lui ho imparato tanto...»
Come è nato il nome della Vecchia Stirpe? Racconta Benito: «Siamo in piazza una sera, c'era il sindaco di allora Enrico Baldazzi che dice "adesso dobbiamo darci un nome", sai erano tutti entusiasti che Zavattarello avesse dopo tanto un'orchestra. "Li possiamo chiamare i Prodotti Locali". "Be', i Prodotti Locali non è un nome molto appropriato, sai i prodotti locali sono i pomodori, le patate. Cerca un altro num." "E se vi chiamate la Vecchia Stirpe?... In fondo siete tutti gente di una volta." "Sì, la Vecchia Stirpe ci piace."
Noi facevamo ogni tipo di musica, tranne quella classica. La musica la trovavo a Milano da una signora di 80 anni. Era difficile trovare quel tipo di musica, io andavo lì e gli dicevo voglio il tal pezzo e la settimana dopo me lo portava. Da lì abbiamo iniziato a suonare alla Stella Alpina, che pian piano è diventato il nostro ritrovo, per un'orchestrina di paese è importante avere un posto di riferimento. Poi siamo andati a suonare nei paesi vicini, da Nibbiano a Pietragavina, da Crociglia a Casa Matti, dal Brallo a Corbesassi, da Valverde a Pratolungo, fino al mare con gli anziani che andavano al mare.
Mi ricordo un sabato sera che dovevamo suonare alla Stella Alpina, ma pioveva e c'era brutto tempo. Eravamo al bar, passa un signore di Valverde e ci dice se non andavamo a suonare al chiuso da lui. Andiamo a Valverde ma non lo avevamo detto a nessuno. Alle otto e mezza non c'era un cane in pista. Poi sai quando c'è poca gente suoni anche male. Dopo le dieci sono arrivati tutti quelli di Zavattarello. Tutto Zavattarello è venuto a Valverde da noi.
La prima volta che abbiamo fatto il Carnevale a Crociglia è stato nel 1978, tre giorni. La domenica pomeriggio sono arrivati tutti gli anziani di Zavattarello a ballare... Era un cinema... Era una baldoria unica, l'allegria spontanea della gente che ti faceva divertire. L'ultimo anno a Crociglia è stato il 1991, però con tre o quattro compositi, non era più la Vecchia Stirpe. L'ultimo anno in cui abbiamo suonato tutti è stato il 1990.»
Diceva Carluccio "noi siamo un'orchestra che uno qua, uno a Casteggio, l'altro a Casa Matti, ma ci troviamo lo stesso..."
Michela Ballerini
estratto e adattato da La banda di Zavattarello, la Burela, Crociglia 2004
Nel 2012 a Broni è stato restaurato e posizionato come fondale il vecchio sipario del teatro Carbonetti, dipinto a tempera nel 1884-5 dal pittore pavese Achille Savoia. La scena raffigura una festa campagnola di persone benestanti, tra i quali si vedono una coppia che esegue un ballo staccato e un'orchestrina formata da tre suonatori: un violinista, un contrabbassista e uno con uno strumento conico non molto diverso da un piffero. Tenendo presente le notizie sulle orchestrine di cui sopra, non è da escludere che si trattasse di un suonatore di tradizione che usasse scendere dalla zona dell'alta val Tidone, dove all'epoca erano attivi anche pifferai e musisti. Da notare anche il bambino sulla destra che a sua volta suona una canna probabilmente effimera, testimoniando come gli strumenti a fiato appartenessero alla cultura comune.
ricerca di Claudio Gnoli, Paolo Rolandi e Laura Zambianchi
La tradizione musicale di Zavattarello = (Dove comincia l'Appennino) / redazione ; © autori - - <https://www.appennino4p.it/zavattarello.htm> : 2008.05 - 2022.09 -